L’Italia avrà una nuova legge elettorale entro l’estate. E giù risate. Invece no, fermi: i partiti l’hanno giurato per davvero, per l’ultima volta, l’ennesima. Una volta asciugate le lacrime per il riso convulso, si potranno quindi leggere le parole del capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato che ha ribadito “l’impegno di varare la nuova legge entro l’estate“, un impegno – dice – “condiviso da tutti i gruppi“. Parole che oggi come ieri assomigliano a una parete di cartapesta, bianchissima ma piena di niente. I partiti promettono che tutto sarà risolto con un colpo di tacco nei prossimi 4 mesi, dopo che invece negli ultimi 4 hanno messo il dibattito sotto sedazione.

Dalla sera in cui la riforma costituzionale è diventata cartaccia, i partiti si sono preoccupati di produrre decine di appelli, comunicati, dichiarazioni, interviste, orazioni, promesse, prosopopee, lectio magistralis, prese di posizione, pallosissime parole definitive per indicare la strada più giusta. E subito dopo l’effetto è che non è successo niente. Sapevano che una riforma serviva, il sistema elettorale oggi è uno sgorbio con un pezzo di Italicum alla Camera e un guscio di Porcellum al Senato, ma hanno voluto aspettare le parole del presidente Sergio Mattarellasacrosante, ma prevedibili – per fingersi colpiti dell’urgenza di una nuova legge.

E’ tardi, è tardi, hanno ripetuto centinaia di volte come il Bianconiglio, correndo per ora verso il niente. Nel frattempo la cartella delle proposte di legge depositate è diventato un faldone: a oggi è stato totalizzato il risultato di 30 diverse ipotesi di sistema elettorale. Ciascuna va bene a un partito, più di frequente a un pezzo di partito, una pattuglietta di parlamentari di questa o quella corrente.

Nel frattempo non ne è stata discussa nemmeno una, nemmeno un secondo. La commissione Affari costituzionali della Camera, da dove deve partire l’iter della riforma elettorale, in questi 4 mesi si è riunita almeno una dozzina di volte ed è riuscita a non fare niente. Anzi, sì: ha rinviato, posticipato, programmato calendari sconfessati una settimana dopo. C’era sempre una scusa buona. La prima è stata l’attesa della Corte costituzionale. La seconda è stata la scissione del Pd. L’ultima la lite tra il Pd e i suoi fuorusciti sul Mattarellum perché quelli che ora si chiamano Democratici e Progresssisti vedono un “problema di metodo, anche se non di merito”, nonostante – dicono – la vecchia legge la voterebbero domani. Tutto politichese, tutto di una noia mortale.

Ma i partiti sono fortunati e consapevoli: della legge elettorale, alla gente, non frega niente. Così il picco di concretezza delle sedute della commissione sono state due serie di audizioni di “esperti” in materia che – come succede da trent’anni, forse ottanta – hanno dato “indicazioni contrastanti”, come non ha potuto far altro che raccontare l’Ansa quel giorno di inizio marzo. Ma il presidente della commissione, il barone Andrea Mazziotti Di Celso, eletto con Monti e ora ultima sacca di resistenza dei cosiddetti Civici, quel giorno ha scoperto la notizia bomba: “Gli esperti hanno sollecitato modifiche”.

Un mese si è mangiato l’altro e così il barone Di Celso ha finito il blocco della carta intestata per scrivere ogni volta all’illustrissima presidente della Camera Laura Boldrini che no, neanche questa volta la commissione sarebbe riuscita a votare in tempo un testo da portare in Aula, davanti all’assemblea. Magari si fosse mai sfiorato il miraggio di “votare” qualcosa, tra l’altro: la commissione non ha mai cominciato neppure a discutere qualcosa. Qualcosa: almeno quello su cui di solito sono d’accordo tutti, le preferenze di genere, le soglie di sbarramento da fare omogenee tra Camera e Senato. Niente, per due volte la conferenza dei capigruppo ha fissato una data (prima il 27 febbraio poi il 31 marzo) e siamo al terzo rinvio: a questo giro hanno scelto inizio maggio, ma – forse per scaramanzia – non un giorno preciso. Prima, in ogni caso, dovranno concludere il lavoro in commissione su un testo, uno qualsiasi.

Delle 30 proposte, l’unica che pare essere baciata da un raggio di speranza è il Mattarellum, vessillo portato con insistenza o forse disperazione dal Pd, per volere di Matteo Renzi. Resta il sospetto che sia solo un modo spregiudicato per “stanare” tutti gli altri: chi vota con noi una legge che in passato ha funzionato e che sta nella cornice delle regole della Costituzione? Per ora gli unici a rispondere sono stati quelli della Lega NordTutti gli altri si sono voltati dall’altra parte, perché un sistema proporzionale andrebbe bene a partiti piccoli o medi come Forza Italia, Alternativa Popolare, bersaniani o Sinistra Italiana che non sarebbero costretti ad allearsi con qualche loro indesiderabile come la Lega a destra o Renzi a sinistra. I Cinquestelle, invece, che nel maggio 2013 votarono per il ritorno al Mattarellum – insieme al solo Giachetti, all’ex ministro berlusconiano Antonio Martino e a Sel – oggi dicono con Danilo Toninelli che quella legge “è del 1992, è una legge vecchia, è invotabile“. La sintesi, come spiega il veterano Ignazio La Russa e come prima di lui Pierluigi Bersani, è che insistere sul Mattarellum, che al Senato non avrebbe nemmeno i numeri, significa “non voler far nulla”. Invece, fino a ora, scintille.

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