Un discorso intriso di pesante nazionalismo, di isolazionismo e protezionismo, con accenti esplicitamente xenofobici, rivolto anzitutto al suo popolo, a chi l’ha seguito durante tutta la campagna elettorale e che l’ha votato. Il discorso dell’Inaugurazione di Donald Trump non è stato una sorpresa quanto ai temi. Trump ha ribadito punto per punto i principi che hanno segnato la sua ascesa politica e la sua vittoria. “America First” è stato lo slogan rilanciato più volte nei circa quindici minuti del discorso.

L’America di Trump sarà quella che protegge i suoi confini, le sue industrie e il suo commercio. L’America di Trump sarà quella che decide le proprie alleanze e strategie internazionali sulla base dell’interesse americano – in questo la politica estera diventa davvero una variabile del business. C’è stato, ma tiepido, il richiamo all’unità, alla necessità che il Paese superi le sue divisioni. Ma c’è stato, ancora più forte, un tema tradizionale della campagna elettorale di Trump: quello della polemica contro l’establishment, contro la politica “che ha protetto se stessa e non i cittadini di questo Paese”.

E’ tornato, nelle parole di Trump, il paesaggio di un’America devastata – dalle gang, dal crimine, dalla droga. “La carneficina americana”, l’ha chiamata Trump. Non c’è mai stato, nel corso del discorso, un richiamo diretto al valore della democrazia. Non c’è stata alcuna visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo – se non l’accenno a “sradicare il terrorismo islamico”. L’America di Trump è quella che si protegge, che persegue il proprio interesse, che compra e che vende. Le parole di Trump segnano probabilmente la fine di un’epoca – iniziata almeno con la fine della seconda guerra mondiale – e l’inizio di un’era completamente nuova per il Paese.

Ma vediamo, punto per punto, alcuni temi presenti nel discorso d’Inaugurazione del nuovo presidente.

Economia – Il nazionalismo economico di Trump è apparso nella sua forma più chiara. Trump ha denunciato la “carneficina americana”, che significa non soltanto un Paese devastato da eroina e criminalità ma anche dalla delocalizzazione dei posti di lavoro, da “industrie arruginite disperse come tombe di morti”. “America First” sarà la filosofia del nuovo presidente, che promette di riportare il lavoro, la prosperità, la sicurezza di vita persa con la globalizzazione e la deindustrializzazione. Nessun accenno, ovviamente, è stato fatto nel discorso alla squadra di governo che Trump ha assemblato e che contiene diversi miliardari e rappresentanti dell’industria petrolifera e della finanza. Nell’ultima parte del discorso, Trump è tornato sulla questione del “forgotten man”, l’americano dimenticato dalla politica e che lui promette di riportare al centro della politica. “Seguiremo due semplici regole – ha spiegato Trump – compra americano e assumi americano”.

Politica estera – E’ stato il capitolo più trascurato da Trump – e la mancanza di una vera visione internazionale è già il segno di dove può andare questa amministrazione. L’unica specifica promessa del 45° presidente degli Stati Uniti è stata quella di “sradicare il terrorismo islamico dalla faccia della Terra”. Il solo messaggio al resto del mondo è stato sostanzialmente un avvertimento: l’America avrà la precedenza su tutto, dopo un periodo in cui gli Stati Uniti “hanno difeso i confini delle altre nazioni” e sovvenzionato i loro eserciti. Quell’era è finita, ha spiegato Trump. La differenza di visione con il ruolo globale degli Stati Uniti disegnato da Barack Obama nel 2008 – quando l’allora giovane presidente rinnovò il patto di solidarietà con gli alleati ma si rivolse anche agli antichi nemici come l’Iran, promettendo di “tendere la mano nel caso gli altri siano disposti ad allargare il pugno” – non avrebbe potuto essere più forte. Si tratta con ogni probabilità del maggior ribaltamento in tema di politica estera dai tempi della seconda guerra mondiale. La visione dell’America garante dell’ordine mondiale finisce con l’ascesa alla Casa Bianca di Trump. Il vecchio isolazionismo, che risale al periodo coloniale e che, tra alterne vicende riemerge fino agli anni Trenta del Novecento, torna a essere un pilastro della politica estera americana.

Immigrazione – Legato al tema dell’ “America First”, c’è stato sicuramente quello dell’immigrazione. Immigration è stata una parola-chiave lanciata da Trump ai suoi sostenitori (insieme a trade e jobs). Trump ha fatto riferimento alla protezione dei confini per tre volte nel corso del suo discorso; un segnale dell’enfasi che il nuovo presidente intende mettere sul tema. “Noi abbiamo difeso i confini delle altre nazioni, rifiutando di difendere i nostri”, ha spiegato Trump (cosa non perfettamente vera: l’amministrazione Obama ha deportato i migranti irregolari in numero molto maggiore rispetto alle precedenti amministrazioni). In un’allusione nemmeno troppo velata al Messico, Trump ha detto: “Proteggeremo i nostri confini dalle devastazioni degli altri Paesi”. Oltre alla difesa dei confini, Trump in campagna elettorale ha promesso di sospendere i piani di accoglienza per i rifugiati siriani. Le parole pronunciate durante il discorso di Inaugurazione fanno pensare che i provvedimenti di esplusione, deportazione e sospensione dell’accoglienza saranno tra i primi presi dal nostro presidente.

Rivolta anti-Washington – Con il tema dell’ “America First”, quello della retorica contro la politica di Washington è stato sicuramente il più presente nel discorso. La retorica di Trump non si è rivolta soltanto contro il mondo, responsabile di aver impoverito gli Stati Uniti. Molta di questa retorica si è diretta proprio contro l’establishment politico. “Le loro vittorie non sono state le vostre vittorie” – ha detto Trump -. “Mentre loro celebravano nella nostra capitale, c’era poco da celebrare per le famiglie in difficoltà in tutto il territorio nazionale”. La visione distopica di un’America travolta da crimine, disoccupazione, paura, si sostanzia nella visione di Trump in una sorta di colpa originaria e ineliminabile delle élite di questo Paese. Il populismo di Trump – che peraltro si riallaccia a una tradizione antica quanto la Rivoluzione americana e che ritorna in diversi momenti della storia americana, dalla “Nonpartisan League” di Lynn Frazier all’anticomunismo feroce di Joseph McCarthy – biasima le classi dirigenti politiche e finanziarie, alleate nello sfruttamento dell’uomo comune, entità a-storica segnata da una comune appartenenza razziale, etnica, sociale. “Non accetteremo più politici che sono solo parole e nessuna azione”, ha spiegato Trump.

In generale, il discorso è stato segnato da un tono duro, rabbioso. Se l’obiettivo era quello di riunire un’America spezzata, si può certamente dire che Trump non l’ha raggiunto. E forse nemmeno cercato. Abraham Lincoln, nel 1861, parlò, per riunire gli americani, dei “migliori angeli della nostra natura”. Un secolo dopo John F. Kennedy si impegnò a “sostenere in ogni modo i nostri amici”. Nel 2008 Obama si appellò “all’America senza colori, né rossa né blu”. I propositi di Trump sono apparsi nel discorso di Inaugurazione ben più bellicosi ed esclusivi, lontani da ogni appello alla riconciliazione e alla pacificazione. “Sanguineremo dello stesso sangue rosso dei nostri patrioti”.

Gli avversari politici, Washington, il mondo, sono avvertiti.

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