Il Cremlino fa cassa vendendo un pezzo del gioiello Rosneft. La Russia ha ceduto infatti il 19,5% delle azioni del gruppo petrolifero statale a un consorzio composto dalla multinazionale anglo-svizzera Glencore e dal fondo sovrano del Qatar per 10,5 miliardi di euro. Lo Stato russo manterrà il controllo, ma ora il 49% di Rosneft è in mano a investitori privati, visto che un altro 19,75% appartiene alla British Petroleum. Il numero uno di Rosneft, Igor Sechin, ha sottolineato che l’accordo è stato possibile “solo grazie al contributo personale” del presidente russo Vladimir Putin e ha affermato che si sono svolte trattative con oltre 30 potenziali acquirenti in Europa, America, Asia e Medio Oriente. Putin dal canto suo ha chiesto che “la significativa somma di denaro” che arriverà allo Stato dalla vendita sia convertita gradualmente in modo tale da “evitare fluttuazione nel tasso di cambio” del rublo.

L’accordo per la privatizzazione arriva dopo che l’Opec ha raggiunto un accordo per il taglio della produzione di greggio a 32,5 milioni di barili al giorno, con una riduzione di circa 1,2 milioni di barili: una mossa che punta a far risalire il prezzo. Anche la Russia, subito dopo, ha annunciato l’intenzione di ridurre in modo graduale le estrazioni di 300mila barili al giorno dagli 11,2 milioni di novembre-dicembre, un livello record fin dai tempi dell’Unione Sovietica, a patto che l’Opec “mantenga gli accordi presi”. L’accordo entrerà in vigore dall’1 gennaio 2017.

A ottobre la Rosneft ha rafforzato la propria posizione di leader del mercato russo acquistando sempre dallo Stato il 50% delle azioni della società petrolifera Bashneft per circa 4,7 miliardi di euro al cambio attuale, con un’operazione finita al centro dell’inchiesta che ha portato all’arresto del ministro dell’Economia russo Alexey Ulyukayev accusato di “estorsione e minacce” a rappresentanti della compagnia petrolifera statale e di aver incassato una tangente da 2 milioni di dollari.

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