Da qui a dicembre, il presidente del Consiglio Matteo Renzi infilerà una serie di spot da ingolfamento pubblicitario.
Nemmeno il tempo di annunciare la data del referendum che il premier ha innalzato le pensioni minime: per farlo ha scelto la platea di Del Debbio, il più bravo di tutti a intercettare un pubblico di pensionati.
Poi ha promesso di tagliare le tasse alle imprese, ha resettato le multe di Equitalia. E ha pure ripreso la boiata del ponte sullo Stretto. Con tanto di 100mila posti di lavoro. Un must berlusconiano che ogni tanto torna di moda: forse era il modo per Matteo di formulare al Cavaliere i migliori auguri di buon compleanno.
Sicuramente prima di domenica 4 dicembre il ragazzo ci riserverà altri colpi, colpi all’insegna della spesa pubblica. E da qui si può anche capire perché il premier italiano sta ingaggiando una battaglia con la Merkel, Hollande e Juncker sulla flessibilità dei conti. Se Renzi pensa di usare la leva della spesa pubblica per tirare a campare allora non ci siamo. La spesa pubblica alla Obama – tanto per citare un esempio a lui caro – è funzionale a un’idea di politica economica, è funzionale alla crescita. Non è funzionale alla corsa dei cento metri. E Renzi ormai dovrebbe saperlo dall’esperienza dei bonus elargiti senza un’idea di fondo. La riduzione delle tasse non serve per il 4 dicembre, serve perché le imprese devono mettersi nella condizione di stare sui mercati. Il taglio dell’Ires, così isolato, è sterile tanto quanto gli 80 euro.
Andare da Impregilo e rimasticare il Ponte sullo Stretto con tanto di promessa di 100mila posti di lavoro è un evidente spot elettorale. All’Italia non servono le grandi opere, servono le opere capillari perché la forza di questo Paese sta nel collegare quelle migliaia di realtà che rappresentano una risorsa. A che serve il ponte sullo Stretto quando per arrivare a Matera, perla unica, è un terno al lotto?
Rompere lo schema stupido del fiscal compact è doveroso. Ma solo se si ha un’idea di crescita. Altrimenti quella spesa in deficit sarà un altro giro a vuoto.
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