Imam che si schierano contro il terrorismo. Altri che lanciano prediche dai toni ambigui. Mentre Hocine Drouiche, vicepresidente della Conferenza degli imam di Francia, si dimette perché giudica troppo morbide le condanne. Ma da che parte stanno la comunità islamica francese e quella di Nizza? Ne abbiamo parlato con Otmane Aissaoui, presidente dell’Umam nonché rettore e imam della più grande moschea di Nizza, Ar-Rahma, nel quartiere l’Ariane.

La sua comunità ha già condannato con forza l’attentato del 14 luglio. Dunque siete schierati senza esitazioni contro l’estremismo?
L’attentato è stato ormai rivendicato, quindi mi rivolgo direttamente a Daesh (Stato islamico, ndr) per dire loro che faremo fronte al loro terrore. Uniti con tutti gli uomini e le donne di Nizza e della Francia combatteremo le loro ideologie estremiste e i loro discorsi di odio e incitamento all’odio. Dobbiamo salvaguardare la Repubblica nella libertà, nel rispetto dei diritti e nella gioia.

Hocine Drouiche, vicepresidente degli imam di Francia, si è dimesso. Ha espresso “tristezza e rabbia” nei confronti delle istituzioni musulmane “che si accontentano del ruolo di spettatore”. Come spiega il suo gesto?
Senza polemica alcuna, riconosco che effettivamente esistono difficoltà nel lavorare tutti insieme per superare le problematiche interne strutturali. In un momento difficile e critico come questo non è, però, il momento di abbandonare la nave. Piuttosto bisogna stringere i denti e i cuori, rimanere uniti per far fronte alle sfide impellenti. Divergenze ci possono essere ma devo dire che finora con tutti gli imam e le associazioni musulmane siamo d’accordo nella risposta da dare di fronte a questo tipo di azione.

Guardando oltre la tragicità dell’evento, quali possono essere secondo lei le conseguenze per la comunità musulmana e sulla convivenza già difficile, non solo a Nizza?
Un attentato come questo ci colpisce doppiamente. In primo luogo siamo afflitti per le perdite in vite umane, a prescindere dall’appartenenza religiosa. Come abbiamo , tra i morti e i feriti ci sono diversi musulmani, ma ieri nelle moschee abbiamo pregato per tutti i morti. In secondo luogo temiamo per la stigmatizzazione dei musulmani, per la divisione delle nostre comunità e per il rischio di implosione dell’unità nazionale. Del resto questo è uno degli obiettivi di Daesh, dividere e alimentare tensioni e violenze sociali. La convivenza quotidiana rischia di essere più complicata. Anche su questo fronte bisognerà darsi da fare. Più che mai dobbiamo lavorare insieme e rimanere uniti. Ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità.

Nella regione l’Islam si è radicalizzato. Da Nizza sono partiti numerosi foreign fighters verso la Siria e l’Iraq. Qui vive un 10% di quella componente estremista monitorata dai servizi di informazione. Come pensa di arginare questa deriva pericolosa per la sua comunità e nei rapporti con gli altri?
Prima ancora del 2015 gli imam di Nizza hanno fatto un lavoro di prossimità davvero impegnativo. Per questo vorrei ringraziarli poiché non è sempre facile. I numeri diffusi nei media devono essere letti in un’altra prospettiva e dire le cose come stanno. Quei giovani partiti verso la Siria e l’Iraq sono soltanto lo 0,01% della nostra comunità. Davvero una minoranza rispetto alle migliaia di giovani che vivono, lavorano qui onestamente e sono integrati. Aggiungo anche che questi foreign fighters partiti da Nizza non frequentavano le nostre moschee. Se hanno ricevuto prediche estremiste e false non è nei nostri luoghi di culto. Quelle di personaggi oscuri come l’autoproclamato imam Omar Omsen, (vero nome Omar Diaby, ndr) quel 40enne senegalese che ha fatto così tanto parlare di sé. Noi imam possiamo avere delle mancanze, dei limiti, ma abbiamo sempre cercato di svolgere la nostra missione nella pace e nel rispetto.

Siete convinti di aver lavorato davvero per evitare le divisioni anche culturali e sociali? Penso alla formazione dei giovani, a simboli come il velo delle donne…
Come teologi dovremo lavorare in modo più incisivo sulla formazione, soprattutto delle giovani generazioni, nelle prediche e nei corsi a loro rivolti. Poi c’è un altro lavoro da fare nei confronti delle donne che riguarda il vestiario. Per strada a Nizza, ma non solo, si vedono sempre più donne di ogni età col velo, anche integrale. Una scelta legata a una cattiva lettura del Corano, veicolato da paesi stranieri, tra cui l’Arabia Saudita. C’è tutta un’attenzione intellettuale e ideologica da attuare per far capire che l’Islam uno lo porta nel cuore e che l’abbigliamento è solo un accessorio. Il velo urta, suscita diffidenza e ci allontana dagli altri. Questo dobbiamo far capire alle nostre comunità.

Ma perché i giovani guardano agli estremisti come a un modello?
Guardando oltre, verso quello che costituisce una sfida mondiale, deploriamo la radicalizzazione dell’estremismo e del linguaggio in generale, in buona parte veicolato dalla rete, ma anche dai media che hanno delle responsabilità nel presentare i fatti. Per non parlare poi della strumentalizzazione politica di fatti come quello del 14 luglio, per servire i propri fini di potere. Per trovare soluzioni, piuttosto che essere gli uni contro gli altri dobbiamo essere gli uni con gli altri. Ai media dico raccontate soprattutto della gioventù musulmana che ha successo e dà un contributo positivo alla società. Negli ospedali di Nizza che ho visitato in questi giorni, il 50% del personale medico è di origine araba. Ma sono in tanti – calciatori, attori, professori, ingegneri – a poter rappresentare un modello positivo per i nostri giovani. Altro che i terroristi.

di Véronique Viriglio

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