Prosciolti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi per difetto di giurisdizione. Assolti monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio per associazione a delinquere per non aver commesso il fatto. Per la divulgazione dei documenti, invece, condannato il prelato a 18 mesi di reclusione e la pr a 10 mesi con pena sospesa per 5 anni. Lo ha deciso il Tribunale vaticano di primo grado al termine del processo Vatileaks 2. Il presidente del collegio, Giuseppe Dalla Torre, al termine di cinque ore di camera di consiglio ha letto la sentenza spiegando che i due giornalisti non possono essere giudicati dal Tribunale vaticano. Ora gli imputati potranno fare appello. Il Tribunale ha esplicitamente affermato nella sentenza la “sussistenza, radicata e garantita dal diritto divino, della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di stampa nell’ordinamento giuridico vaticano”. “Le motivazioni della sentenza verranno depositate nelle prossime settimane e potranno essere conosciute. Vi sono ora tre giorni di tempo perché gli imputati possano proporre appello”, spiega il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

Una vicenda che era iniziata, alla fine dell’ottobre 2015, con gli arresti di Vallejo Balda e della Chaouqui e poi con l’uscita in libreria, pochi giorni dopo, dei volumi Avarizia di Fittipaldi e Via crucis di Nuzzi contenenti molti documenti della Commissione Cosea sulle finanze vaticane di cui facevano parte il monsignore spagnolo vicino all’Opus Dei e la pr calabrese. Il Papa si espose in prima persona nell’Angelus dell’8 novembre 2015, appena tre giorni dopo la pubblicazione dei due libri: “Rubare quei documenti è un reato. È un atto deplorevole che non aiuta. Io stesso avevo chiesto di fare quello studio, e quei documenti io e i miei collaboratori già li conoscevamo bene, e sono state prese delle misure che hanno incominciato a dare dei frutti, anche alcuni visibili. Perciò voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi”.

Il 21 novembre 2015 il pm vaticano chiese il rinvio a giudizio dei cinque imputati. Per Vallejo Balda, Chaouqui e Maio “perché all’interno della Prefettura per gli affari economici e di Cosea si associavano tra loro formando un sodalizio criminale organizzato, dotato di una sua composizione e struttura autonoma, allo scopo di commettere più delitti di divulgazione di notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato”. E “perché, in concorso tra loro, Vallejo Balda nella qualità di segretario generale della Prefettura per gli affari economici, Chaouqui quale membro della Cosea, Maio quale collaboratore di Vallejo Balda per le questioni riguardanti la Cosea, Fittipaldi e Nuzzi quali giornalisti, si sono illegittimamente procurati e successivamente hanno rivelato notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato; in particolare, Vallejo Balda, Chaouqui e Maio si procuravano tali notizie e documenti nell’ambito dei loro rispettivi incarichi nella Prefettura per gli affari economici e nella Cosea; mentre Fittipaldi e Nuzzi sollecitavano ed esercitavano pressioni, soprattutto su Vallejo Balda, per ottenere documenti e notizie riservati, che poi in parte hanno utilizzato per la redazione di due libri usciti in Italia nel novembre 2015. Reati commessi nella Città del Vaticano, dal marzo 2013 al 5 novembre 2015”.

Nove mesi di dibattimento, il memoriale difensivo hot del monsignore spagnolo con i Whatsapp a dir poco volgari, oltre una decina di testimoni. In aula racconti di fantomatiche cimici negli uffici della Prefettura degli affari economici bonificate in modo grottesco dalla Chaouqui, “messaggi minacciosi” come il regalo della pr calabrese al prelato di due pesci rossi, poi lasciati morire di fame nel dicastero vaticano, da leggersi, secondo l’arguta interpretazione dei dipendenti laici chiamati al banco dei testimoni “come un chiaro invito a tenere la bocca chiusa”. Fino alla scena comica della cartella “nunzi”, contenente un banale indirizzario dei diplomatici della Santa Sede, reperibile su internet o nell’Annuario Pontificio in vendita in qualsiasi libreria, confusa erroneamente in sede dibattimentale con un’inesistente cartella “Nuzzi” che ha rischiato, seppure per pochi minuti, di restare impressa nel verbale del processo penale come la “prova regina” della colpevolezza dei cinque imputati.

Di settimana in settimana, di udienza in udienza, di testimonianza in testimonianza nessun elemento rilevante dal punto di vista penale per un processo che assumeva di giorno in giorno i caratteri di una rivalsa interna per mancati incarichi, frustrazioni personali, vendette trasversali, sesso consumato nell’ormai tristemente famosa notte di Firenze, accuse di omosessualità per il monsignore spagnolo costretto ad alternarsi dalla cella della Gendarmeria vaticana che, tre anni e mezzo fa, aveva ospitato l’ex maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, e il Collegio dei Penitenzieri per gli arresti domiciliari poi revocati a causa delle violazioni commesse da Vallejo Balda che si era fatto recapitare una torta all’interno della quale era nascosto un telefono cellulare, poi ritrovato nelle mutande del prelato.

Tra i nomi comparsi più volte nelle udienze anche quelli di Luigi Bisignani e Paolo Berlusconi. Infine, il dito puntato contro i giornalisti accusati di aver fatto minacce e pressioni verso le loro fonti ma che, come è emerso chiaramente in sede dibattimentale dai tantissimi messaggi scambiati con Vallejo Balda e la Chaouqui, si sono sempre limitati a fare il loro mestiere di cronisti, ovvero a fare domande e a lavorare sui documenti che, in modo del tutto spontaneo, gli erano stati consegnati.

Ultimo atto le richieste conclusive del pm al Tribunale vaticano: 3 anni e un mese per Vallejo Balda, 3 anni e 9 mesi per la Chaouqui, un anno e 9 mesi per Maio, l’assoluzione per insufficienza di prove per Fittipaldi e un anno per concorso morale per Nuzzi. Richieste totalmente respinte dalle rispettive difese che, invece, con accezioni diverse, hanno tutti chiesto l’assoluzione per i loro imputati. In particolare nelle arringhe per i due giornalisti, i rispettivi difensori hanno sottolineato con forza che essi hanno soltanto fatto “il loro lavoro con professionalità e correttezza”. Una posizione condivisa dall’opinione pubblica italiana e non solo che su Twitter, alla vigilia della sentenza, si è espressa con l’hashtag #assolvetenuzziefittipaldi.

“Se la Corte mi condannasse e chiedesse all’Italia l’esecuzione della sentenza – aveva affermato in mattinata durante le dichiarazioni spontanee la Chaouqui, arrivata con il piccolo Pietro Elijah Antonio, nato il 14 giugno scorso – io e mio figlio passeremmo i primi anni della sua vita in galera”, ha osservato ancora l’ex funzionaria del Vaticano, che poche ore prima aveva affidato a Facebook quello che alle orecchie dei più maliziosi suona come monito: “L’archivio di Cosea, integrale, il rapporto sulla sicurezza dello stato, i report dei conti laici dello Ior, l’analisi degli appalti del governatorato, lettere e documenti, dossier sulle nunziature, riposano nella cassaforte accanto alla mia camera da letto. Domani potrei uscire dall’aula e consegnare tutto direttamente ai cronisti fuori dal Vaticano. Altro che Avarizia e Via Crucis, ne verrebbe fuori davvero il libro nero delle finanze vaticane”. “Sarebbe la vendetta giusta per appagare la rabbia di una persona innocente…almeno la mia condanna avrebbe un senso – prosegue la donna, accusata di associazione a delinquere e concorso nella divulgazione dei documenti – ma non lo farò”.

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