Il mondo FQ

Mafia, morto il boss Di Maggio: i 100 anni furono celebrati a Cinisi con fuochi d’artificio

Il questore ha vietato funerali pubblici per "don Procopio" l'ultimo numero uno della cupola di Totò Riina rimasto libero. Classe 1916, fu condannato la prima volta nel 1935 per omicidio volontario. Espatriato negli Usa, aveva lavorato prima per Al Capone, poi era stato definitivamente espulso nel 1976. Il 6 gennaio il suo compleanno era stato celebrato con giochi pirotecnici nella città di Peppino Impastato
Mafia, morto il boss Di Maggio: i 100 anni furono celebrati a Cinisi con fuochi d’artificio
Icona dei commenti Commenti

L’ultimo compleanno era stato omaggiato addirittura da sei minuti di fuochi d’artificio, che la sera dell’epifania avevano illuminato il cielo di Cinisi, la piccola cittadina in provincia di Palermo famosa per aver dato i natali a Peppino Impastato. Un privilegio che non potrà essere ripetuto nel giorno dell’ultimo saluto, dato che il questore ha vietato funerali pubblici per don Procopio Di Maggio, l’ultimo boss della cupola di Totò Riina rimasto libero, morto giovedì sera nella sua casa nel centro della città: il 6 gennaio scorso aveva compiuto 100 anni.

Classe 1916, Di Maggio era il classico prototipo di padrino mafioso che avrebbe negato l’esistenza di Cosa nostra persino in punto di morte. Qualche anno fa, intervistato dall’Unità, dichiarò senza ironia: “La mafia per me non esiste, ho sentito parlare di Cosa nostra soltanto dai giornali e dalle tv”. Titolare di un curriculum criminale di alto livello, da decenni era costretto a camminare appoggiandosi ad un bastone: raccontava di essere caduto da un’impalcatura mentre lavorava in un cantiere negli Stati Uniti. Per la fredda cronaca, invece, si era lanciato dal terzo piano di un istituto di correzione negli States, mentre decine di agenti dell’Fbi lo inseguivano.

Condannato la prima volta nel 1935 per omicidio volontario dopo una rissa con un coetaneo, Di Maggio si fa nove anni di carcere e poi decide di emigrare nel Nuovo Continente, dove comincia a lavorare con quella che un tempo era stata la banda di Al Capone. Rientrato in Sicilia, nel 1958 viene inviato al confino a Castel Guelfo, in provincia di Bologna, dato che nel frattempo è entrato a far parte della commissione provinciale di Cosa nostra.

Espulso definitivamente dagli Stati Uniti nel 1976 perché considerato pericoloso (ma lui dirà semplicemente che era stato considerato “clandestino”), diventa presto il braccio destro di don Tano Badalamenti, il boss che ordinò l’omicidio di Peppino Impastato, prima di tradirlo per allearsi con i corleonesi di Riina. Ed è dopo aver “pensionato” Badalamenti che il capo dei capi lo impone sul trono di nuovo capomafia di Cinisi. In questa veste sarà imputato e condannato a sette anni di carcere al primo Maxi Processo di Palermo, dove però riesce ad incassare l’assoluzione per una ventina di omicidi.

Di segno opposto il destino di due suoi figli, Gaspare e Giuseppe: il primo è detenuto in regime di 41 bis, il secondo è stato inghiottito dalla lupara bianca. Don Procopio invece deve aver avuto una buona stella, dato che è sopravvissuto a due attentati: nel 1983, quando gli spararono mentre passeggiava in piazza a Cinisi, e nel 1991 quando un commando di killer si materializzò al suo distributore di benzina. È anche per questo motivo che il suo centesimo compleanno era stato festeggiato in pompa magna: una cena sontuosa per parenti e amici arrivati persino dagli Stati Uniti, conclusa dallo spettacolo pirotecnico.

E pazienza se il sindaco di Cinisi Giangiacomo Palazzolo avesse vietato i fuochi d’artificio in città. “Di Maggio è un mafioso, così come suo figlio: ma il paese non è mafioso”, si lamentava il primo cittadino, mentre Giovanni Impastato, fratello di Peppino, era amareggiato: “Provo tanta amarezza per quello che è accaduto, spero che presto certi ricordi vengano cancellati: al funerale di mia madre, ad esempio, il paese non c’era”. “Ma di quale mafia andate parlando?”, diceva invece don Procopio, sull’uscio di casa sua: il bastone in una mano, un bicchiere di champagne nell’altra e un ghigno che trasmetteva impunità fino all’ultimo. La morte sarebbe venuta a prenderselo esattamente sei mesi dopo.

(Foto da YouTube)

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione