“In primavera abbiamo registrato diversi sbarchi provenienti dalla Turchia, ma Istanbul non collabora”, spiega il sostituto procuratore Rocco Liguori della Direzione distrettuale antimafia di Catania, da anni impegnato nelle indagini sul traffico. Nell’indifferenza generale, il 17 maggio ha chiesto pene pesanti per i due scafisti di un naufragio da 800 morti, avvenuto il 17 aprile 2015 e considerato la strage più grave del Mediterraneo sul fronte dell’immigrazione. Quanto all’Egitto, il caso Regeni fa scuola: a parole pronto a collaborare, nei fatti un muro impenetrabile. Quando le indagini riescono a individuare i boss del traffico internazionale, “le nostre rogatorie restano senza risposta”, afferma Liguori. Eppure da lì “partono mercantili con centinaia di persone a bordo e il pilota automatico bloccato sulla rotta verso l’Italia”. Una vera e propria industria locale su vasta scala, con tanto di cantieri navali e compravendite di vecchie barche da pesca da riconvertire al trasporto di esseri umani. Un settore economico florido che evidentemente le autorità del Paese “amico” non hanno grande interesse a contrastare (nella mappa sotto, i nodi del traffico di migranti censiti da Europol). Anzi, fra gli investigatori è diffusa la convinzione che molte ruote vengano unte in loco perché gli occhi di chi dovrebbe vigilare restino chiusi. Con la Libia, poi, i canali di collaborazione ufficiali sono addirittura impossibili, dato il caos politico e militare.

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Per di più, continua il magistrato, con la fine dell’operazione Mare nostrum “non riusciamo più a essere incisivi nella lotta alle organizzazioni internazionali, e da parecchio tempo non riusciamo ad avviare un’indagine su vasta scala”. Come quelle che negli anni passati hanno portato a individuare grandi boss come Fuad Abu Hamada, siriano che opera ad Alessandria d’Egitto, Hanafi Ahmed Mohamed Farrag, egiziano della zona di Kafr el Sheik, Ermias Ghermay, etiope a capo di una multinazionale del traffico di migranti, Jamal Saoudi, libico basato a Zuwara… Tutti accusati di aver fatto arrivare illegalmente in Italia migliaia di persone. E di aver lasciato, nelle traversate finite male, centinaia di cadaveri in fondo al mare. Tutti ricercati dalla giustizia italiana, ma di fatto protetti dalle autorità dei loro Paesi. “Le attuali missioni internazionali Frontex, Mare sicuro, Eunavfor-Med si occupano solo di soccorso in mare ma non di indagare sulla filiera del traffico. E visto che partecipano anche navi di altri Paesi europei, i nostri investigatori potrebbero incontrare problemi di giurisdizione. Con Mare nostrum, invece, avevano sommergibili, droni, velivoli d’alta quota che registravano immagini e video fino alle coste egiziane”.

Non è un particolare da poco: il 90% dei migranti che arrivano illegalmente in Europa si appoggia a uno di questi network criminali, si legge in un rapporto di Europol pubblicato il 17 maggio, garantendo un fatturato di 5-6 miliardi di dollari nel 2015. “In Turchia, Libia ed Egitto l’attività si sta sempre più concentrando nelle mani dei gruppi criminali più grandi”. Inoltre 22o trafficanti identificati nello stesso anno sono risultati coinvolti in altre attività criminali, dalla droga ai documenti falsi allo sfruttamento del lavoro. E anche se finora non ci sono prove evidenti, “i terroristi potrebbero usare le risorse dei trafficanti di migranti per raggiungere i loro obiettivi”. L’agenzia di polizia europea stima che in Libia ci siano “attualmente 400mila migranti”, a cui se ne aggiungono altrettanti “potenzialmente in arrivo nel Paese dal Medio oriente e dalla regione del Sahel“. Fanno un totale di “800mila persone che cercheranno di raggiungere l’Unione europea”.

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