Il Giro d’Italia parte il 6 maggio dall’Olanda e tocca le 99 edizioni. Sono passati 107 anni dalla prima e ben 62 campioni hanno portato a casa il successo nella “corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo”. Lo slogan della campagna di comunicazione è questo e, campanilismo a parte, che il Giro sia tecnicamente la corsa più difficile da interpretare e vincere, perché dura e selettiva, è verità. La Vuelta si è avvicinata in questi anni, con dei percorsi ben congegnati e un calendario che porta in Spagna tutti i big che preparano il mondiale, ma il Giro resta il Giro, anche quando parte dall’Olanda e non arriva in Sicilia (l’ultima volta nei 2011). Permettetemi il regionalismo personale, sono siciliano ma faccio finta di comprendere le dure regole del marketing e resto un fan della Corsa Rosa.

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Per compensazione spero che proprio il siciliano Nibali vinca, anzi lo rivinca dopo quello del 2013. Sarà una bella lotta ma lo “squalo dello stretto” ha le caratteristiche, e la voglia di riscatto giusto, per riportare sulle spalle di un italiano la maglia rosa. Ce la farà? Chissà, l’incertezza, i rivali, le incognite, gli imprevisti, questo determina ogni edizione e proprio questo è il bello della prima grande corsa a tappe dell’anno. Qualche segnale nelle gare di preparazione si è visto, c’è chi si nasconde, chi punta alla terza settimana e poi, una sorpresa spunta sempre fuori, il Giro è il Giro e i suoi ingredienti sono gli stessi da cento anni a questa parte. Salite, colline, pianure che il nostro territorio offre con un equilibrio perfetto e un tifo che corre su tutto lo stivale da sempre, perché il Giro è anche la gente che si fionda su partenze e arrivi per vedere i corridori o si piazza a bordo strada per applaudirli mentre fanno uno scatto.

Abbandono per un attimo la retorica classica perché voglio parlare di alcuni episodi mediatici che ho seguito in questi giorni e che hanno catalizzato l’attenzione dei ciclofili come me. Potrei dire una nota lieta e una negativa. Partiamo da quella negativa, che nelle ultime ore ha portato l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani (Accpi) a procedere legalmente nei confronti degli ex ciclisti Danilo Di Luca, Graziano Gasparre e dei due autori del servizio messo in onda da una trasmissione televisiva. Io sto con l’Accpi e non perché sono un bacchettone e difendo il ciclismo e i corridori a prescindere. Sulla pulizia di quel mondo io non ci metterei la mano sul fuoco per nessuno, e ho detto già abbastanza. Quello che spiace vedere è come un ex vincitore di Giro d’Italia (Di Luca fece sua l’edizione 2007) abbia, con un tempismo perfetto, fatto uscire il suo libro, Bestie da vittoria, proprio in prossimità della partenza del Giro.

Passi che Di Luca scriva un libro sulla sua vicenda, davvero, chi potrebbe negargli la possibilità di raccontare cosa vuole. Anche mettere in copertina una sua foto con la Maglia Rosa indosso, che sono certo ama ancora, è legittimo, ma programmarne l’uscita e le successive interviste e presentazioni prima dell’evento, che forse gli ha dato visibilità e fama, non mi è sembrato giusto. Non è giusto perché emerge il doping più che lo sport. Lo hanno seguito a ruota un altro ex ciclista e la suddetta trasmissione televisiva, ma la strada è la stessa di tanti che prima hanno usato il “sistema” per vincere o semplicemente per vivere e poi hanno sputato sul piatto. Già visto, inutile e un po’ ipocrita, non credete? Andiamo avanti, il Giro fa 99 e sopravvivrà anche a questo. Il contraltare l’ho visto sabato sera a Che tempo che fa di Fazio dove, in un guazzabuglio di ospiti è riuscito a collocare anche Merckx, Gimondi e il buon Davide Cassani a dare agli altri la dimensione dei due signori con cui condividevano la scena.

Fra Marzullo, il cuoco vegano, Fabio Volo, Rita Pavone, Frankie Hi-Nrg, Nino Frassica e Massimo Gramellini, “quei due” spiccavano. Poco importa se, era evidente, nessuno di loro sapesse esattamente chi fossero stati, ciclisticamente parlando, quanto avessero vinto e quanto avessero battagliato. Anche quando Cassani, a proposito di Giro d’Italia, ha ricordato che tra il 1967 e i 1976, (10 edizioni) “quei due” l’hanno vinto 8 volte, l’applauso è stato più automatico che realmente sentito. C’era curiosità più che ammirazione verso due campioni che, potremmo dire, sono stati “il ciclismo”. Merckx da solo poi…ma che ve lo dico a fare. Alla fine fa sempre piacere rivederli, imbiancati ma sempre fedeli a se stessi, sempre a pizzicarsi fra loro, ma col sorriso. Sempre pronti a fare il complimento all’altro per elogiare in realtà se stesso. Rivali ma sportivi e consapevoli che lo sport che hanno dominato è stato una opportunità che hanno colto con classe e intelligenza, senza rinnegarlo mai, perché oltre a classe e intelligenza ci vuole cuore. Il 6 maggio, da Apeldoorn, parte una storia lunga 3463 chilometri che si concluderà a Torino il 29 maggio. E’ bello immaginare che nella testa dei 198 protagonisti di questa nuova pagina rosa risuoni la consapevolezza del ciclista che descrive così bene Frankie Hi-Nrg in Pedala:

Scriviam la nostra storia usando biciclette,
inseguendo la memoria su strade molto strette,
su per le salite senza avere una borraccia, giù
per le discese con il vento sulla faccia. Perché
la bicicletta non importa dove porti, è tutto un
equilibrio di periodi e di rapporti, è tutta una
questione di catene e di corone, di grasso che
lubrifica la vita alle persone.

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