Finalmente, vien da dire. In un contesto storico, quello italiano, in cui una parte del Paese sta pure giungendo a legittimare l’utero in affitto (secondo la dottissima tesi “perché negli Stati Uniti esiste da tempo”, come se gli Usa abbiano solo prodotto perle di civiltà in due secoli!) e a trasformare i desideri in diritti, ad oggi resiste strenuamente l’ostacolo “giuridico” che impedisce l’ingresso ai cosiddetti patti prematrimoniali o, secondo l’oramai immancabile termine anglofino, ai prenuptial agreements. Ostacolo individuato nel richiamo alle fonti di diritto e, a seconda della bisogna, nell’ordine pubblico, pietra tombale di ogni lasciva discussione. Dunque nel nostro ordinamento giuridico i patti prematrimoniali potranno trovare spazio solo per mezzo di un intervento legislativo. Ed è attuale la notizia che trova vigore una proposta di legge in tal senso, volta a modificare l’art. 162 del codice civile, aggiungendovi che «i futuri coniugi, prima di contrarre matrimonio, possono stipulare accordi prematrimoniali volti a disciplinare i rapporti dipendenti dall’eventuale separazione personale e dall’eventuale scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio».

Famiglia

In molti ordinamenti stranieri, specialmente anglosassoni, è facoltà dei coniugi regolamentare l’assetto dei rapporti patrimoniali, come il poter stabilire preventivamente l’ammontare dell’assegno divorzile e se sarà dovuto o l’ammontare del contributo al mantenimento dei figli, oppure statuire a chi sarà assegnata la casa coniugale o se sarà immediatamente venduta, oppure ancora le modalità reciproche di frequentazione dei figli o sino a decidere prima chi terrà il gatto, il cane, l’iguana o l’urna cineraria. I patti prematrimoniali possono così divenire uno strumento prezioso in caso di fallimento o di mera conclusione dell’unione coniugale, onde evitare che la dissoluzione del rapporto “affettivo” si traduca in infinite discussioni, tensioni, conflitti e contenziosi. O per evitare che “s’ingrassino i conti correnti degli avvocati” (per dirla alla Renzi, ignorante del fatto che i redditi degli avvocati siano in picchiata da 5 anni) o che s’intasino le aule di giustizia, sedi in cui spesso i conflitti si aggravano e non si risolvono.

In Italia infatti una coppia su due stabilmente unita è destinata a “separarsi” e tutto questo genera spesso un conflitto ed almeno un contenzioso. Anni di lacrime, sangue e denari.

Da noi i patti prematrimoniali sono nulli perché contrari all’ordine pubblico, ritenendosi che non sia possibile disporre preventivamente dei diritti patrimoniali conseguenti alla scioglimento del matrimonio, in quanto limitativo del diritto di difesa. Un tale accordo avrebbe una causa illecita in quanto condizionerebbe il comportamento delle parti nel giudizio concernente uno status, la cui facoltà di scelta ed il diritto di difesa devono invece essere ben garantiti. Invero negli ultimi anni la Corte di Cassazione ha mostrato qualche apertura, ammettendo la validità di un accordo con cui i coniugi stabilivano in anticipo, in caso di cessazione del matrimonio, il trasferimento all’altro dell’immobile di proprietà a titolo di rimborso delle spese sostenute dal coniuge beneficiario di tale trasferimento, per la ristrutturazione di altro immobile adibito a casa coniugale (Cass. n. 23713/2012). Ostacolo comunque aggirabile ove si pensi come sempre la Cassazione abbia stabilito il principio che non sono contrari all’ordine pubblico internazionale, e dunque ai principi fondamentali dell’ordinamento, gli accordi prematrimoniali omologati in uno Stato estero, poiché ex art. 30 L. 215/95 due coniugi italiani residenti all’estero possono liberamente scegliere un ordinamento straniero per regolare i rapporti patrimoniali, che saranno ritenuti efficaci anche in Italia.

Un’ipocrisia enorme quella di bandire i patti prematrimoniali ove si pensi che per prassi nell’ambito del cosiddetto diritto di famiglia, dinanzi alle corti le parti sono sempre trattate in modo diseguale secondo uno schema obsoleto in cui la donna/madre è sempre il soggetto debole e l’uomo/padre è sempre il soggetto forte, dunque reo a prescindere.

Si è dunque sempre impedito di consentire alle parti contraenti (il matrimonio è pur sempre un contratto) di disciplinare preventivamente ogni aspetto per decidere le regole del “gioco” durante e soprattutto dopo la conclusione della partita. Non si comprende difatti perché i “giocatori” non possano sapere anticipatamente se al fischio finale li aspetterà un terzo tempo o un girone dantesco. Perché i “giocatori” non possono decidere di evitare di spingersi fino a tirarsi colpi bassi oppure di giocare a regole truccate? Si giochi dunque a carte scoperte e si vedrà chi barerà sin dall’inizio.

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