Mandati inesatti o incompleti. Documentazione «carente o addirittura assente». «Pratiche non finanziabili», o duplicate, o rimaste senza esito, ma il cui conto è stato fatto pagare regolarmente alle casse dello Stato. Per non parlare delle pratiche intestate a beneficiari che poi sono pure risultati «cittadini non italiani», o che vivevano addirittura «in un altro paese»…

Insomma: se non proprio bocciati, poco ci manca. A compilare la pagella e a dare i voti ai servizi  svolti dai patronati oltreconfine è nientemeno che il Comitato per le questioni degli italiani all’estero del Senato: dopo mesi di indagine, di audizioni, di ispezioni sul campo, i senatori guidati da Claudio Micheloni, Pd, hanno votato ieri i primi 5 articoli della relazione finale. Manca giusto l’articolo 6, ossia le conclusioni, che sono state rinviate di 15 giorni ma solo per dare un’ultima possibilità al ministero del Lavoro di battere un colpo. Finora, in quasi due anni, benchè sollecitato in tutti i modi dai senatori, non ha mai fornito né una spiegazione né una risposta alle loro richieste di chiarimenti.

L’ultimatum stavolta è definitivo: se tra due settimane il ministro Giuliano Poletti (nella foto), o qualcuno per lui, non si presenta a palazzo Madama col capo cosparso di cenere per rimediare al solenne sgarbo istituzionale, «c’è addirittura il rischio che i senatori decidano di inviare i risultati della loro indagine alla Procura della Repubblica», spiega il senatore Aldo Di Biagio, Ap, autore di svariate e preoccupate interrogazioni. Cerca di fare il diplomatico, il senatore – «i patronati non devono vedere la nostra indagine come un atto di lesa maestà, ma uno stimolo a fare chiarezza» – ma il quadro che emerge dal lavoro del comitato è per il ministero addirittura devastante.

Premesso che «le associazioni di patronato svolgono un importante lavoro a favore delle nostre collettività all’estero», i senatori non lesinano però critiche al sistema. A partire dai costi: «Nel 2015 gli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del ministero del Lavoro» per i servizi svolti dai patronati in Italia e all’estero «sono stati complessivamente pari a 438.971.799,00 euro». Per il 2016 lo stanziamento è di 314.72.610, cioè il 72 per cento delle somme impegnate nell’ultimo consuntivo approvato, ma «con l’assestamento saranno concesse le somme “effettivamente” affluite al bilancio dello Stato in relazione ai versamenti degli enti previdenziali nel 2015».

Insomma, anche con il vistoso taglio praticato nell’era Renzi, i patronati nel 2016 porteranno a casa oltre 300 milioni; e agli uffici esteri andrà circa il 12 per cento, ossia almeno 35 milioni. A spartirsi la torta sono, da anni, sempre i soliti: Inca-Cgil, Ital-Uil, Inas-Cisl e Acli portano a casa circa il 60 per cento, tutti gli altri (Enasco, Epasa, Cipas, Copas) si dividono le briciole. La spartizione tra i vari patronati avviene in base al numero di uffici aperti all’estero e al numero di pratiche effettuate per conto del ministero a beneficio dei nostri emigranti. Ogni pratica, un punteggio. E qui sta il trucco: perché pur di strappare più fondi ai concorrenti – come hanno raccontato in audizione alcuni testimoni come Antonio Bruzzese, ex responsabile estero dell’Inca-Cgil- dall’Argentina all’Australia, dal Canada alla Germania gli uffici si stanno moltiplicando e statisticano (così si dice, tecnicamente) al ministero migliaia di pratiche, non solo quelle effettivamente svolte sul posto ma, spesso, anche quelle inviate loro dagli uffici italiani  senza i regolari mandati con le firme dei richiedenti.

E il ministero? Secondo molti senatori, dorme. Teoricamente dovrebbe trasmettere al Parlamento una relazione sui controlli effettuati, entro il mese di dicembre di ogni anno. Dal marzo del 2001 sono state presentate solo otto relazioni (l’ultima è del 2015 e riguarda l’anno 2011!) e tutte, tranne l’ultima che proprio tace, parlano delle sedi estere evidenziando «molte criticità», dai «mandati inesatti o assenti» alle pratiche duplicate. Quanto alle ispezioni che il ministero dovrebbe garantire all’estero (scopo per cui trattiene quasi mezzo milione l’anno sui contributi all’Inps versati dai lavoratori), il Comitato lamenta che «paesi ad alta emigrazione come l’Argentina o il Brasile sono stati oggetto di ispezione solo una volta in cinque anni».

E quando, finalmente, arrivano gli ispettori, trovano spesso centinaia di pratiche irregolari. «Alla sede INCA a Montreal, in Canada, nel 2011, dopo una ispezione vengono tolti 4.046 punti», segnala il Comitato come esempio. Praticamente è stato dimezzato il punteggio autocertificato dalla sede al ministero. L’anno dopo, come niente fosse, da Montreal hanno dichiarato di nuovo 10.278 punti. Conclusione dei senatori? «Casi come questo avrebbero bisogno di ulteriori accertamenti poiché indicano una recidiva ed un continuo abuso della statisticazione, in quanto le ispezioni sono troppo diluite nel tempo e non danno seguito a provvedimenti giudiziari».

Insomma, nessuno al ministero controlla, di fatto. O pochissimo. Nessuno indaga. Nessuno punisce. Il ministero non ha detto nulla neanche quando in Svizzera, tra 2001 e 2009, «il direttore del patronato INCA-CGIL di Zurigo, Antonio Giacchetta, falsificando i timbri del consolato italiano si è fatto versare, su un conto a lui intestato, l’intero capitale pensionistico complementare dei pensionati che avevano dato mandato al patronato per il disbrigo delle pratiche di pensione».  Una storia incredibile, che i membri del Comitato hanno ascoltato in diretta dalle vittime, a Zurigo, e che è finita malissimo: «quando nel 2013 il Tribunale federale svizzero ha definito il diritto al risarcimento per i pensionati e ribadito la responsabilità in solido del patronato INCA-CGIL di Zurigo, la sede nazionale dell’INCA-CGIL ha dichiarato fallimento e ha chiuso la sede di Zurigo». Ora una vittima di Giacchetta, Cosmo Covello, 70 anni, nativo di Acri (Cs), ha fatto causa all’Inca Cgil italiana per riavere i 302.312,39 euro ( più danni e interessi) che gli sono stati depredati, e ha citato in giudizio anche il ministero per omessa vigilanza.

Come si difenderà il dicastero di Poletti in tribunale? E perché non ha mai dato prima qualche spiegazione al Senato, tanto da rischiare addirittura il voto di una relazione di condanna? Vedremo. Martedì pomeriggio il sottosegretario ai rapporti col Parlamento, Luciano Pizzetti,Pd, è venuto a Palazzo Madama a incontrare il capogruppo dem Luigi Zanda e il presidente del Comitato, Micheloni, assicurando che medierà col ministero per far avere risposte veloci e soddisfacenti ai senatori. I quali invocano chiarezza anche per il futuro: «L’articolo 11 della legge n. 152/2001 prevede che sulla base di apposite convenzioni con il ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale gli istituti di patronato e di assistenza sociale possono svolgere attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari italiane all’estero», si preoccupano infatti i membri il Comitato. E in un quadro di tagli sempre più drammatici alla nostra rete di uffici consolari, i patronati puntano  a stringere con la Farnesina una convenzione per svolgere tutti quei servizi che rischiano la soppressione. Un affare da milioni di euro. Ma vigilato da chi? E svolto con quali garanzie?

 

 

 

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