di Gaia Cacciabue per SpazioEconomia

British Stand Up Paddle Board Association National Surf Championships

Probabilmente la notizia che la comunità surfista si preoccupi del benessere del mare non attirerà molto l’attenzione: ruotando la loro vita attorno ad un elemento naturale, ci si aspetta che abbiano una certa sensibilità o almeno un certo interesse a conservarne la bellezza.

Il lato inaspettato è che ci sia da preoccuparsi dell’impatto ambientale del surf. Certo, non si parla di carburanti, consumi energetici, motori: il problema è tutto nei materiali usati per l’attrezzatura, che proprio sostenibili non sono, anzi.

Il principale imputato negli ultimi anni sono state le tute, in genere fatte di neoprene: un derivato del petrolio super inquinante, il cui processo produttivo ha un impatto spropositato, causa di rimorsi di coscienza per i surfisti più sensibili. Non di tutti, diciamolo: dalle ricerche di mercato emerge che in generale tutti i surfisti vorrebbero prodotti ecosostenibili e a impatto zero sull’oceano, ma allo stesso tempo che la grande maggioranza di loro sembra essere decisamente succube della moda, almeno per quanto riguarda le attrezzature da surf.

British Stand Up Paddle Board Association National Surf Championships

E qui entra in scena Patagonia: l’azienda californiana è entrata da pochi anni nel settore e lancerà nel 2016 una nuova serie di tute fatte con una bio gomma prodotta dall’Havea, una pianta tropicale brasiliana. Un paio di anni fa ne aveva lanciata una versione prodotta in buona percentuale da una gomma estratta dalla guayule, una pianta che cresce nel deserto dell’Arizona. Il risultato non era stato soddisfacente (era ancora necessaria una buona percentuale di neoprene), così la ricerca è continuata.

La bio gomma in questione è stata prodotta insieme a Yulex, un’azienda specializzata in nuovi materiali, e anziché vincolare il produttore ad un’esclusiva, Patagonia ha invitato i concorrenti ad utilizzare lo stesso materiale. La speranza è quella di raggiungere due risultati: se più marche alla moda produrranno tute in bio gomma si riuscirà più facilmente ad attrarre quei modaioli dei surfisti, e aumentando la diffusione i prezzi si potranno ridurre, favorendo la competizione con le classiche tute in neoprene. Può sembrare una mossa poco avveduta da parte di Patagonia, ma al momento i prezzi sono alti per la lunga fase di sviluppo che ha preceduto il lancio sul mercato, e finché non li si ammortizzerà gli oceani continueranno a veder galleggiare omini avviluppati nel neoprene.

Alla O’Neill, uno dei più grandi nomi nel campo del surf, non sono troppo convinti: il materiale non è considerato ancora all’altezza dei requisiti, per cui niente tute in bio gomma per loro, almeno per il momento. Anzi, suggeriscono di spostare l’attenzione sul riciclo del neoprene, nell’attesa che si ottenga il materiale adatto.

Anche Finisterre, azienda dalle dimensioni molto più ridotte, pur avendo un’immagine attenta all’ambiente offre esclusivamente tute in neoprene. Il messaggio da parte loro è quello che proviene anche da molti altri addetti ai lavori: Patagonia sta facendo qualcosa di molto eccitante per il mondo del surf, probabilmente sarà una rivoluzione, ma al momento è una rivoluzione che non ci possiamo permettere.

Le nuove bio tute saranno presentate a luglio in Europa, Nord America e Giappone: surfisti di tutto il mondo, tenete gli occhi aperti.

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