A giorni attendono l’esecuzione dell’ordine di sgombero. Il termine per lo sfratto del campo comunale di via Idro, infatti, è già scaduto. Si tratta di uno dei più vecchi campi nomadi comunali, costruito nel 1989, i cui abitanti sono tutti cittadini italiani. Stando ai programmi del Comune, circa cento rom (di cui la metà minori) saranno trasferiti in Centri di emergenza sociale (ovvero container in cui vivono una ventina di persone) o al Centro ambrosiano di Solidarietà Marotta di parco Lambro che offre anch’esso piccoli container di cinque metri per due e mezzo all’interno di una struttura dedicata all’accoglienza di realtà in difficoltà (alcolizzati, persone con problemi psichici e mamme con bambini).

“Noi siamo cittadini italiani. Mandarmi fuori dal campo equivale a mandarmi fuori da casa mia”, racconta una residente di via Idro che vive lì’ da 26 anni e ha scelto di restare in anonimato per paura di essere riconosciuta e subire discriminazioni sul posto di lavoro. “Questi centri sono disastrosi – continua la rom – I campi di concentramento: io li chiamo così”. Il percorso scelto dal Comune per rom e sinti di Milano, prevedere il superamento della logica del campo nomadi in tre fasi: abbandono del campo e soggiorno in Centri comunali, borse lavoro che permettano di avere un’occupazione per arrivare a una soluzione abitativa. Un percorso che ha attirato diverse critiche, tra rom “certi che non ci saranno assunzioni” e associazioni che si chiedono in quanti, dopo un soggiorno di qualche mese in una struttura comunale, non troveranno lavoro e saranno costretti ad andare in mezzo a una strada. “Non è una soluzione costringere queste persone a ridiventare nomadi – precisa Piero Leodi dell’Associazione Amici di via Idro – perché non lo sono mai stati nella loro vita”

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