I miei soldi sono al sicuro? E’ questa la domanda che dal 22 novembre – giorno in cui è stato emanato il cosiddetto decreto salva banche – tormenta gli italiani. Domanda che, lungi dall’aver trovato risposte convincenti, si fa sempre più pressante anche a causa dell’ondata di vendite che si è abbattuta in Borsa sui titoli bancari per via dell’elevato livello di crediti deteriorati che si ritrovano in portafoglio e del timore che presto molti istituti saranno costretti a effettuare nuovi aumenti di capitale e altre banche potrebbero ritrovarsi in situazioni difficili. Paure infondate? Forse, ma ad alimentarle sono proprio le continue rassicurazioni sulla solidità del sistema e la sfiducia diffusa nei confronti dei controllori che in diverse occasioni non solo non sono intervenuti per tempo, ma hanno anche voltato la testa dall’altra parte. Lo dimostrano i casi di Veneto Banca e Popolare di Vicenza: il marcio ha iniziato a venire fuori davvero quando la vigilanza sui maggiori istituti di credito è passata da Banca d’Italia alla Bce. Il fatto è che la gran parte delle banche italiane è sottoposta ancora ai controlli degli ispettori di Via Nazionale e della Consob per quanto riguarda il collocamento dei prodotti finanziari, con le conseguenze che abbiamo visto per i clienti di Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti.

Il rischio zero non esiste – Sono passati oltre due mesi dal decreto salva-banche e il governo, dopo tanto parlare, non ha fatto ancora nulla sui rimborsi ai risparmiatori truffati. Domenica 31 gennaio le vittime del salva-banche si sono trovate in Piazza Santi Apostoli a Roma per protestare e ribadire che non vogliono l’elemosina ma giustizia. In queste circostanze non c’è da stupirsi che la preoccupazione dei correntisti sia cresciuta e che siano in molti a temere di perdere i sudati risparmi. Ed ecco che torniamo alla domanda iniziale: come faccio a capire se i miei soldi sono al sicuro? La risposta, soprattutto in tempi di bail-in, non è né facile né tranquillizzante per la semplice ragione che il rischio “zero” non esiste. Per sgomberare il campo da equivoci, però, occorre anche ricordare che chi ha una liquidità inferiore ai 100mila euro e non possiede azioni o obbligazioni della propria banca, ha ben poco da temere: in caso di dissesto il suo conto corrente è garantito e i suoi investimenti non possono essere intaccati.

Occhio ai ratio patrimoniali: possono essere manipolati – Il problema si pone invece per quei milioni di correntisti che sono stati indotti nel corso degli anni ad acquistare obbligazioni bancarie e a sottoscrivere azioni spesso nemmeno quotate in Borsa. La solidità patrimoniale di un istituto è certamente un indice importante del suo stato di salute e più i ratios patrimoniali (Cet1 ratio e Total capital ratio si trovano nei bilanci e nelle relazioni trimestrali e semestrali reperibili sui siti delle banche stesse) sono elevati, più la banca è solida. Ma i ratios non sono da prendere troppo alla lettera per almeno due ragioni: la prima è che riflettono non il presente bensì una situazione passata (ad esempio, il semestre o l’esercizio precedente) e la seconda è che possono essere manipolati, come dimostra ancora una volta il caso delle due popolari venete costrette poi dalla Bce a effettuare svalutazioni miliardarie. La rivista Altroconsumo ha stilato una classifica delle banche italiane utilizzando come criterio i ratios patrimoniali e ai primi posti sono comparse assieme alle big (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e alcune delle loro controllate) una pletora di banche popolari, casse di risparmio e banche di credito cooperativo. E’ bene ricordare che in molti di questi casi il rafforzamento patrimoniale della banca è stato effettuato a scapito dei clienti, come dimostra ad esempio la vicenda della Cassa di risparmio di Ravenna. La banca del presidente dell’Abi Antonio Patuelli negli anni scorsi e per tutto il 2015 ha riempito i portafogli della clientela di obbligazioni subordinate.

Più gli accantonamenti su crediti deteriorati sono bassi, più salgono i rischi – Un altro fattore molto importante da tenere in considerazione è il livello di sofferenze e soprattutto il loro grado di copertura: più gli accantonamenti sono bassi, più sono elevati i rischi sotto il profilo economico-patrimoniale. Qui la vigilanza svolge un ruolo cruciale non solo per stabilire il grado ottimale di copertura, ma anche e soprattutto per verificare la corretta valutazione dei crediti: Vicenza e Montebelluna, ad esempio, avevano classificato come semplici incagli centinaia di milioni di euro di crediti che erano in realtà in sofferenza.

Le aggregazioni possono portare benefici agli azionisti. Per gli obbligazionisti cambia poco – L’accordo raggiunto con la Commissione europea sulla questione delle sofferenze bancarie non ha risolto i problemi e vi è una spinta sempre più forte in direzione di un consolidamento del settore per cercare di mettere in sicurezza il sistema. La corsa alle aggregazioni contribuirà a confondere ulteriormente le acque e procrastinare i problemi, ma la tendenza a una crescita dimensionale delle banche sembra inevitabile perché il sistema è eccessivamente frazionato, troppo debole e inefficiente. Per alcuni aspetti le aggregazioni bancarie possono portare qualche beneficio ai risparmiatori coinvolti, specie se sono azionisti, perché avranno maggiori opportunità di valorizzare il loro capitale cogliendo anche l’occasione di vendere o magari di esercitare il diritto di recesso. Per chi possiede obbligazioni, invece, dovrebbe cambiare poco se sono a lungo termine, mentre se la scadenza è ravvicinata (tre-quattro anni) dovrebbero aumentare le probabilità di rivedere il proprio capitale. D’altra parte le banche di maggiori dimensioni non sono necessariamente più affidabili di quelle medie e piccole, come dimostrano il caso di MontePaschi in Italia e quello di Lehman Brothers negli Stati Uniti. Anzi, per certi versi una banca di piccola taglia come molte Bcc locali è molto più “controllabile” dal correntista, a patto che guardi davvero alla bontà e alla correttezza della gestione che di questi tempi sono merce sempre più rara.

Titoli di Stato e buoni postali rendono poco ma sono sicuri – Per evitare guai l’unica ricetta è quella di seguire con una certa attenzione l’andamento dei propri risparmi, evitare di acquistare prodotti o titoli di cui non si capiscono rischi e funzionamento e diversificare evitando di mettere tutte le uova nello stesso paniere. Titoli di Stato e risparmio postale rendono poco, ma quel poco è spesso superiore a quanto offrono i ben più rischiosi prodotti bancari.

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