Il governo conservatore britannico la chiama “strategia della prevenzione”, ma per molti insegnanti è solo “spionaggio” allo stato puro. Così, mentre si moltiplicano i casi di studenti e studentesse che scappano dal Regno Unito per andare a unirsi ai terroristi del sedicente “Stato Islamico” in Siria, ai docenti britannici è stato chiesto già a partire dalla scorsa estate di vigilare sui loro alunni e di denunciare alle autorità ogni minimo segnale di radicalizzazione e di estremismo.

Insegnanti quindi quasi alla stregua di ‘delatori’, che oltre a controllare discorsi e atteggiamenti degli adolescenti (il problema è sentito soprattutto nelle scuole superiori) potranno spingersi fino a controllare le comunicazioni informatiche dei loro allievi. I sindacati della scuola e anche molte amministrazioni locali, però, negli ultimi mesi hanno chiesto all’esecutivo guidato da David Cameron di rivedere la legge.

Il Council di Islington, l’amministrazione locale del quartiere londinese dal quale proviene anche Jeremy Corbyn, il leader pacifista del Labour di opposizione, ha già fatto sapere di essere contrario alle norme, in quanto “mettono a rischio la coesione sociale”. Il caso noto come “Trojan Horse”, scoppiato a Birmingham nel 2014, era stato un segnale importante: troppe scuole, soprattutto scuole islamiche, erano facili vittime dei predicatori, che spesso facevano propaganda per ideologie molto vicine a quella dei terroristi. Il governo ha così pensato di mettere una pezza al problema che attanaglia uno dei Paesi più multiculturali d’Europa, dove risiedono almeno tre milioni di musulmani, la metà dei quali nella capitale. Arrivando persino, negli ultimi mesi, a chiedere espressamente che le scuole preservino “i valori britannici”. Peccato che ora a questa pezza si oppongano proprio i – quasi sempre – cristiani docenti della scuola pubblica.

C’è chi organizza invece chiacchierate di gruppo per educare gli studenti ai valori della tolleranza e del rispetto, chi preferisce il dialogo alla censura, chi ancora fa finta che le regole non esistano proprio, continuando a operare come ha sempre operato. Una ‘rivoluzione silenziosa’ che tuttavia potrebbe portare le scuole a dover fronteggiare serie ripercussioni.

L’arma in mano all’esecutivo britannico e al ministro dell’Istruzione Nicky Morgan si chiama infatti Ofsted, l’Office for Standards in Education, Children’s services and Skills, emanazione governativa che si occupa di controllare la qualità del sistema scolastico, una sorta di enorme provveditorato a livello nazionale e con potenti capacità sanzionatorie. Recentemente una scuola dell’est londinese, l’area più multiculturale della capitale, è stata per esempio colpita da un provvedimento dell’ente per non aver messo in piedi un piano efficace per il controllo delle comunicazioni informatiche degli studenti.

Ed è di pochi giorni fa la notizia che le scuole del Regno di sua maestà potrebbero essere colpite dalla censura dell’Ofsted nel caso non riescano a evitare che l’utilizzo del niqab (il velo islamico quasi integrale che lascia scoperti solo gli occhi) da parte di insegnanti e studentesse comprometta la qualità dell’insegnamento e la regolare convivenza fra gli studenti. Un modo molto educato, in stile ‘British’, di far capire alle donne e alle ragazze musulmane che il velo quasi integrale a scuola non è gradito. Pur senza arrivare a vietarlo espressamente: una cosa che andrebbe contro ogni filosofia (britannica) della convivenza e della tolleranza fra culture.

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