“Dopo la laurea ho provato a spedire cv ovunque, ma senza risultato. E così me ne sono andata all’estero, in un luogo che potesse farmi crescere dal punto di vista professionale e offrirmi un lavoro col quale mantenermi da sola. Due cose che in Italia è difficile conciliare”. Esther Cocco, trentenne sarda, ha sempre avuto il viaggio nel dna. Complice anche il lavoro dei genitori, assistenti di volo. Ha passato l’infanzia in Brasile e l’adolescenza tra Cagliari e Toronto, e da cinque anni vive in Lussemburgo.

Specializzata in diritto bancario, Esther ha fatto le valigie dopo la laurea in giurisprudenza alla Luiss di Roma e si è iscritta ad un master in private equity e mercati finanziari. Destinazione Lussemburgo, prima piazza europea e seconda al mondo, dopo New York, nella gestione dei fondi di investimento. Qui, a fine master, la aspettavano uno stage e poi l’assunzione a tempo indeterminato nel dipartimento legale di una multinazionale di servizi finanziari e contabilità, dove oggi ricopre il ruolo di supervisor legal. “Una cosa impensabile in Italia – riconosce-. Ho iniziato a guadagnare in modo da essere indipendente già durante lo stage: in Lussemburgo è la prassi. Tanti miei coetanei rimasti in Italia, sia giovani avvocati sia giuristi d’impresa, faticano a costruire un’esperienza professionale che li renda economicamente indipendenti e li soddisfi. In molti studi legali i ritmi di lavoro sono eccessivi e i tempi per raggiungere il titolo d’avvocato, tra pratica ed esame, lunghissimi”.

A Lussemburgo Esther ha trovato il suo equilibrio. Il sogno nel cassetto, però, è quello di tornare. In Italia, in Sardegna. Con l’obiettivo di fare qualcosa di concreto per la sua terra. “Rientrerò, questo è sicuro. Il mio futuro è lì” e il suo sogno “è di poter mettere a servizio del mio Paese ciò che sto imparando all’estero”. Il rientro però è vincolato a “un progetto”, che Esther ha già messo nero su bianco e ha sede ad Uras, in provincia di Oristano: “Voglio ricreare un polo tessile che ha dovuto chiudere a causa della crisi qualche anno fa. La Sardegna è piena di risorse e professionalità di altissimo livello che rischiano di andare perdute se nessuno si impegna a valorizzarle”.

Il primo periodo a Lussemburgo non è stato facile: “Ora riconosco che la multiculturalità è un grandissimo punto di forza per una azienda. Ma all’inizio una delle cose più difficili è stato conciliare il mio approccio lavorativo con quello di tantissime persone di nazionalità differenti. Nel mio team siamo in otto, ognuno proveniente da un Paese diverso”. E anche sapere bene l’inglese spesso non è bastato: “Avendo trascorso tutte le estati del liceo in Canada per perfezionare l’inglese, ero arrivata a Lussemburgo con un buon livello di padronanza della lingua, in Italia considerato ottimo. Qui invece tutti mi chiedevano, un po’ stupiti, se sapessi solo l’inglese. I miei coetanei in media parlano perfettamente 3 lingue. Ora, grazie al lavoro, ho imparato un po’ di francese. È un Paese che ti dà l’opportunità di arricchirti tantissimo anche dal punto di vista linguistico”.

E poi l’Italia manca. Tanto. “Fare una passeggiata a Roma è la cosa che mi manca di più. Abbiamo una cultura e delle bellezze uniche, che chi vive all’estero ci invidia. Ma non sappiamo e non possiamo valorizzarle come meriterebbero. Purtroppo in Italia ancora non vedo la luce alla fine di questo tunnel”. Anche per questo, secondo Esther, l’Italia paga un caro prezzo al di fuori dei confini nazionali: “All’estero c’è un’idea spesso sbagliata degli italiani. All’inizio alcuni scherzavano sul fatto che non sembravo italiana. Perché? Lavoravo tanto. E questo me l’ha insegnato l’Italia. Se abbiamo successo all’estero lo dobbiamo innanzitutto alla nostra formazione. Dobbiamo ricordarci chi siamo e da dove veniamo. Mi arrabbio con chi va a lavorare fuori e inizia a denigrare il nostro Paese”.

Una scelta, quella di Esther, a cui sono seguite non poche critiche: “Sin da quando sono partita ho ricevuto tanti rimproveri. “‘E’ facile andarsene, ma è chi rimane che cambia le cose’, mi hanno detto in molti. In realtà, se fossi rimasta a casa dai miei probabilmente avrei potuto cambiare ben poco. Le esperienze all’estero mi hanno arricchita, aprendomi gli occhi su nuovi mondi e orizzonti. Ed è questo che riporta a casa, quando torna, un emigrante“.

Articolo Precedente

Archeologo in Perù. “Sarebbe stato più facile lavorare in Italia, ma amo questa cultura”

next
Articolo Successivo

“A Berlino possiamo pensare a un futuro sostenibile. In Italia si vive con la paura di cambiare”

next