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Roma, Kerry: “Governo di unità nazionale in Libia entro 40 giorni. Sarà a Tripoli”

Il capo della diplomazia Usa nella Capitale per il summit sul Mediterraneo: “C'è un piano e lo vogliono i libici”. Gentiloni: “Dobbiamo essere più rapidi dell'Isis che è sempre più pericoloso”
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“C’è un piano, lo vogliono i libici”. Parola di John Kerry che interviene al termine della Conferenza internazionale sul Mediterraneo che si è tenuta a Roma. “Ci vorranno 40 giorni perché un governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale possa fare ritorno nella sede di Tripoli“, ha aggiunto il segretario di Stato americano.

Al summit organizzato dalla diplomazia italiana erano presenti anche esponenti dei due parlamenti libici, quello di Tobruch, riconosciuto dalla comunità internazionale e l’altro con sede nella Capitale sostenuto invece dalla Turchia. Quindici in tutto che nei giorni del vertice hanno intavolato una serie di trattative fra di loro e con i ministri degli Esteri del P5 più 5 e cioè i membri permanenti del consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (Francia, Usa, Russia, Gran Bretagna e Cina) più Italia, Germania, Spagna, Onu e Unione europea, oltre che con le nutrite delegazioni dei paesi africani e mediorientali.

L’accordo raggiunto fra le due fazioni in cui si divide la Libia è stato sottoscritto da altri 17 paesi e da quattro organizzazioni internazionali e chiede l’immediato cessate il fuoco in tutto il Paese mettendo fine alle “lotte interne che colpiscono il popolo libico, sei milioni di persone”.

Il risultato, come ricorda Kerry, è “frutto di un anno di negoziati” ed entrerà nel vivo già da mercoledì prossimo quando in Marocco si firmeranno gli atti che consentiranno il ritorno a Tripoli del governo di unità nazionale.

C’è fretta perché sono tutti consapevoli, libici e comunità internazionale, che il tempo a disposizione è quasi scaduto. Sì, perché le aree controllate dallo Stato islamico nel Paese sono sempre più estese e vicine agli enormi giacimenti di petrolio di cui gode lo stato nordafricano.

Lo sa anche Paolo Gentiloni, capo della diplomazia tricolore e padrone di casa: “In Libia il Daesh si sta facendo sempre più pericoloso, la diplomazia e la politica questa volta devono dimostrare di essere più rapidi dei terroristi“.

Tant’è che l’opzione militare è sempre viva: una volta riunito il popolo libico sotto un unico esecutivo non sono da escludere i bombardamenti contro le milizie di al-Baghdadi nelle zone, come quella di Sirte e Derna, dove si sono radicate.

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