Bardati come fossero in partenza per una spedizione siberiana ma con la temperatura di Milano, l’orda d’oro degli intrepidi viaggiatori di Di Meo è sbarcata a Mosca, città passata da comunista a consumista. Colbacchi e manicotti si sprecavano. Manuela Chiumeo, romana moscovita d’adozione, con spiccato piglio per la comunicazione li convoca tutti al Cafè Petrovich, una parodia dei vecchi tempi sovietici con paccottiglia da guerra fredda diventata reliquia, mobili da rigattiere e scompagnati e perfino un bicicletta attaccata al muro con i chiodi. Ma il pezzo forte è il telefono in ferro una volta dato in comune per gli alloggi delle Comunalk, da utilizzare solo in portineria in maniera tale che tutti sentissero.

L’indomani al Museo Patriottico (auto celebrativo della vittoria su Napoleone), Generoso e Roberto Di Meo, il duo del marketing, produttori vinicoli irpini e inventori della formula party itinerante (15esima tappa, dopo Parigi, Varsavia, New York, Madrid, Marrakech) hanno convocavano metà di mille invitati. Quest’anno il dress code è d’ispirazione la grande Russia imperiale e la neo designer Benedetta Lignani Marchesani ha subito riadattato la sua B.B. (bizantina bag) al look zarina. E anche il calendario 2016 firmato dal maestro Massimo Listri aveva come tema tolstoiano “Guerra e Pace”.

Ad accogliere gli ospiti un picchetto d’onore di ufficiali in marcia trionfale, suonata di balalaika, uno strumento a tre corde, e concerto hip hop sullo sfondo a tutto schermo il gran ballo del hollywoodiano “Guerra e Pace”. Intanto comincia l’assalto al buffet fatto di uova di storione e di pelmeni siberiani, che sono una specie di panzerotti ripieni di carne macinata e si aspetta il benvenuto di Fekla Tolstoy, nipote dello scrittore. Ad applaudire Giorgio Nocerino, Aimone d’Aostae e il notaio Sergio Cappelli che sulla giacca di smoking si è fatto cucire in tutte le lingue la parola Pace. 

The day after. E finalmente l’indomani ci fu una spruzzata di neve, tanto per non deludere le aspettative. La Cupola d’oro a cipolla ha qualche piccola traccia di bianco, che consente ai napolitanski in gita di tirar fuori maglioni da sci variopinti e moon boot ai piedi. Diversamente da Roma (non serve neanche più dirlo al sindaco dimissionario Marino) le spazzatrici municipali di Mosca hanno già ripulito i marciapiedi, deludendo gli aspiranti sciatori di fondo. La città, con i suoi 14 milioni di abitanti e il suo traffico da incubo, anche se c’è la tormenta funziona.
La due giorni Di Meo è all’insegna della grande abbuffata: appena finito il breakfast con suonatrice di arpa nell’enorme salone ridondanti di stucchi e specchiere dorate, in stile Secessione (per gli ignorantoni corrisponderebbe a un Liberty piuttosto fiorito). Siamo al Metropol dove un tempo alloggiavano a spese di Stalin le teste pensanti dell’Internazionale Comunista, compreso il Migliore, così era chiamato Palmiro Togliatti. Al munifico anfitrione Generoso pare sia stata assegnata proprio la suite di Togliatti. Che invidia.

Chiedo al giovane barman come mai i russi hanno ribattezzato Togliatti sul Volga una loro città. Mi risponde senza ironia: “Credo che Togliatti fosse una stara italianskaya ptiza, un vecchio uccello italiano”. Quale oltraggio! Il lider maximo del Pci declassato dalla generazione post-muro a volatile in estinzione. Alla faccia del Comintern che da Mosca progettava la rivoluzione proletaria mondiale. Fra i convenuti al symposium Di Meo, si notano la contessa Antonella Camerana, (dinastia Fiat), elegantissima come sempre, in fitta conversazione Renzo Cianfanelli, inviato dall’Onu a New York e corrispondente di guerra per il Corsera, che a Mosca è di casa. “Io anzi – dice lui – ci tornerei volentieri. In questo momento, rispetto all’America, la trovo più interessante”. Ma la giovane moglie Daiana, nata in Romania sotto i comunisti e oggi primaria di medicina negli Usa, della Russia e dei russi non ne vuole sapere. Intanto all’Istituto Italiano di Cultura sale in cattedra Il Sacrificio di Eva Izsak (Chiarelettere) tradotto in cirillico e presentato dal direttore Olga Strada e dal magnate dell’immobiliare Sergey Ivantsov. Il carrozzone si scapicolla veloce al Turandot per ingozzarsi di blinis di uova di salmone rosso e di kefir con brindisi alla vodka. La mise en place di ori e cineserie come se fosse un palazzo dello zar pare sia costata una settantina di milioni di euro. ‘Za vasce sdarovie’, intonano i più poliglotti, che non è una frase scurrile in partenopeo ma significa più meno “alla salute.”

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