Mercoledì mattina ci siamo svegliati con le notizie da Saint Denis e naturalmente tutti abbiamo buttata un’occhiata più frequente del solito ai canali che ce le raccontavano.
Questo “stare tutti un po’ più a lungo” davanti alla tv ha determinato tra le 8 e le 9 del mattino un aumento del 5% degli “spettatori medi”. La variazione sembra piccola, ma questo è uno dei casi in cui la media statistica offusca la concretezza e la diffusione del comportamento. In più, come accade sempre in situazioni di emergenza nazionale, c’è stato l’accorrere di molti spettatori verso mamma Rai, che è pur sempre la Tv di Stato, dal Tg1 (+2%) a Rai News (+0,7%), ma anche verso il notiziario di Sky (+0,5%), che ha un taglio perfetto per situazioni emergenziali. Qualcosina ha guadagnato Agorà, mentre Omnibus, ha dovuto perdere inevitabilmente qualche penna perché l’analisi politica è stata sovrastata dalla cronaca in diretta.

La polarizzazione dell’ascolto sulla Rai si è verificato anche alla sera, nel confronto fra Ballarò e DiMartedì, dove Floris ha sostanzialmente conservato i suoi 1,4 milioni di spettatori, mentre Giannini li ha fortemente incrementati passando da 1,5 milioni a 1,9. Siamo, nonostante la pressione di un evento straordinario, tuttora al di sotto dei tre milioni e dunque lontanissimi dalle performance che il solitario Ballarò del tempo che fu avrebbe realizzato in pari circostanze. In altri termini, il risultato non corregge, ma semmai accentua l’idea di una crisi davvero strutturale dei talk show politici extra large.

Sarà possibile frenare l’impallidimento del genere ricorrendo a qualche modifica strutturale? Al momento sono in campo tre format: quello della “serata a tema”, cui è tuttora fedele Ballarò e di cui è stato maestro Santoro; quello “situazionale”, stile Quinta Colonna, Virus e Gabbia (prendi un po’ di amici e mettili insieme, aggiungi Santanchè e/o Sgarbi o Barnard, e alla fine se ne saranno dette di tutti i colori e per tutti i populistici gusti); e quello del “magazine”, quale si è testé e ripetutamente autodefinito Floris, che sarebbe una sorta di lasagna multistrato dove ciascuno può passare, prendersi una cosa e filare via. Lasagna o non lasagna, per tutti il filo del racconto è in crisi, vuoi perché la durata eccessiva inevitabilmente lo spezza, vuoi perché l’accozzaglia degli ingredienti lo vanifica. E infatti nessuno riesce, pressoché mai, a indurre gli spettatori a guardarsi in media più di un sesto dell’intera durata del programma.
Ma, siamo sempre lì: costano poco e la nostra tv ha da decenni le pezze al c…

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