“La privatizzazione di Poste è stata chiusa con successo”. E’ questo il giudizio del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che venerdì mattina ha ufficializzato i dati dell’offerta di vendita di Poste Italiane. Peccato però che l’incasso per il governo sarà appena di 3 miliardi, solo 300 milioni in più dell’incasso più basso (2,7 miliardi) atteso dalle banche collocatrici. E soprattutto 700 milioni in meno rispetto alle previsioni più ottimistiche (3,7 miliardi). Tuttavia, nel caso di esercizio di un’ulteriore opzione (greenshoe) da parte dei grandi investitori, l’introito per le casse pubbliche potrà sfiorare i 3,4 miliardi, cifra comunque più bassa dei 4 miliardi che l’esecutivo sperava di poter portare a casa solo qualche mese fa.

Il Tesoro ha infatti accettato di vendere il 34,7% di Poste valutando l’intero gruppo 8,816 miliardi di euro, valore intermedio rispetto alla forchetta individuata dalle banche collocatrici (fra i 7,8 e i 9,79 miliardi). Va detto però che la fascia indicata per l’offerta delle azioni in Borsa era già a prezzi di saldo: nei palazzi romani, solo un anno prima, circolavano infatti valutazioni della società che si aggiravano sui 12-15 miliardi con un incasso stimato per le casse pubbliche compreso fra i 4,8 e i 6 miliardi. Certo, a distanza di dodici mesi, le condizioni dei mercati azionari sono molto cambiate. E forse anche per questa ragione, in fase di sottoscrizione, la società guidata da Francesco Caio ha ritenuto opportuno promettere ai futuri soci la distribuzione in dividendi dell’80% degli utili dei prossimi due anni. E ha poi anche stabilito un premio per gli azionisti fedeli con un’azione gratis ogni venti dopo un anno dal collocamento.

Ricapitolando, dunque, per piazzare Poste al prezzo definitivo di 6,75 euro per azione, il Tesoro non solo si è accontentato di intascare poco, ma ha anche dovuto convincere i futuri soci con promesse sugli utili e premi fedeltà. Tutto questo con un chiaro obiettivo nella mente: ridurre, sia pur di pochi spiccioli, il colossale debito pubblico italiano (quasi 2.200 miliardi a luglio). Padoan e Renzi non potevano del resto rischiare che l’operazione non andasse a buon fine. La quotazione di Poste “è parte importante della strategia del governo“, è “una riforma strutturale“, ha detto il ministro dell’Economia aggiungendo che il governo procederà sul cammino delle privatizzazioni nei prossimi mesi con Enav e Ferrovie dello Stato. Forte anche di un’operazione di “successo, la più importante realizzata nell’Ue quest’anno, che conferma la fiducia dei mercati nel Paese”.

In effetti non è mancato l’interesse dall’estero per Poste i cui titoli sono finiti al 70% nelle tasche degli istituzionali e al 30% in quelle dei piccoli risparmiatori. Fra i grandi acquirenti il fondo sovrano del Kuwait, ma anche gli americani di Fidelity, Oaktree, Blackrock, in corsa con la controllata Mgpa per la gestione degli investimenti di Poste Vita nel mattone. E poi ancora il fondo pensione governativo norvegese, Norges Bank e il miliardario George Soros, lo speculatore che nel 1992 costrinse l’Italia a svalutare facendo perdere alla lira il 30% del suo valore. “Siamo molto contenti”, ha dichiarato l’ad di Poste Francesco Caio, che si prepara ad intascare il bonus per aver portato a termine l’operazione di collocamento voluta da Renzi. “Abbiamo fatto un bel lavoro, abbiamo portato l’Italia in giro per il mondo – ha concluso il manager – il prezzo lo farà il mercato, e il mercato ha sempre ragione”. Non resta quindi che attendere martedì 27 ottobre per l’inizio degli scambi a Piazza Affari. E poi verificare la capacità di “cambiamento” di Poste Italiane vista per ora principalmente in tv.

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