Poste italiane entra nella fase operativa della privatizzazione e chiede ai piccoli risparmiatori fra gli 800 milioni e il miliardo di euro. Per raccoglierli, il gruppo guidato da Francesco Caio sfrutterà anche la propria rete di uffici postali diffusi in ogni angolo del territorio nazionale. “L’attività di collocamento – si legge nel prospetto informativo dell’offerta – sarà inquadrata nell’ambito del servizio di consulenza agli investimenti prestato da Poste Italiane” che, da una parte, venderà le sue azioni e, dall’altra, consiglierà ai suoi clienti di comprarle in potenziale conflitto d’interesse. L’offerta pubblica che parte lunedì 12 ha infatti riservato ai piccoli risparmiatori il 30% delle azioni messe in vendita dal Tesoro che punta ad incassare dall’operazione fra i 2,7 e 3,7 miliardi. Il restante 70 per cento finirà nelle mani dei grandi investitori che saranno disposti a sborsare fra i 6 e i 7,5 euro per azione.

Per portare a termine l’operazione, insomma, il gruppo guidato da Caio potrà contare sul quel rapporto di fiducia che lega tradizionalmente gli italiani alle Poste. Ma la privatizzazione è davvero un affare? Per alcuni certamente si. Lo è per il governo che apre una nuova stagione di vendite di Stato cedendo il 34,7% dell’azienda con l’obiettivo di “reperire risorse finanziarie da destinare alla riduzione del debito”, come recita una nota del ministero dell’Economia. Lo è per le banche che intascheranno almeno una quindicina di milioni di commissioni. Lo è per Caio che riscuoterà un bonus Ipo ancora in corso di definizione e per i media nelle cui casse finirà una buona fetta dei 15 milioni di spese per il collocamento. Non è detto però che lo sia per i cittadini e per i nuovi soci perché il futuro del gruppo dipenderà dalla reale capacità di attuare un piano di trasformazione impegnativo che passa anche per dolorosi tagli.

Per quanto concerne le casse pubbliche, infatti, l’operazione, che si chiuderà il 22 ottobre, è a prezzi di saldo rispetto alle previsioni degli analisti. Solo fino a qualche giorno fa, infatti, banca Imi, filiale della banca collocatrice e creditrice Intesa (per 244,4 milioni di linee di credito), attribuiva a Poste un valore compreso fra gli 8,95 e gli 11,42 miliardi di euro, mentre Goldman Sachs parlava di una cifra compresa i 7,9 e i 10,5 miliardi. Alla fine, invece, la società è stata valorizzata fra i 7,8 e i 9, 79 miliardi. Certo, in condizioni di mercato volatili come quelle attuali, per assicurarsi il successo dell’offerta è preferibile abbassare il prezzo piuttosto che rischiare il flop. E promettere anche la distribuzione di dividendi pari all’80% dell’utile atteso per quest’anno e per quello successivo.

Per quanto riguarda i nuovi soci di Poste, poi, il prospetto definisce tutti i fattori di rischio dell’operazione che i risparmiatori potranno sottoscrivere con piccoli lotti (da 500, 2mila e 5mila titoli) e con un esborso compreso fra i 3mila e i 3.750 euro a seconda del prezzo definitivo dell’offerta. Sul servizio corrispondenza recapiti, fra i punti deboli c’è la questione della consegna della posta a giorni alterni su cui Bruxelles potrebbe “aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia” come si legge nel prospetto. A questo tema si aggiunge poi anche la problematica dell’onere “sostenuto da Poste italiane” per il servizio universale. Caio non ha mai fatto mistero del rallentamento del settore servizi postali che nel 2014 ha registrato un risultato operativo negativo per 504 milioni. La debolezza del comparto è infatti alla base del piano di razionalizzazione degli uffici postali che Poste ha “temporaneamente” sospeso in seguito alle proteste e ai ricorsi degli enti locali.

Nella lunga lista dei rischi assumono un posto di primo piano 2,8 miliardi di crediti vantati da Poste nei confronti della Pubblica amministrazione. L’enorme ammontare di crediti, fra cui figurano persino 87 milioni di compensazioni per spedizioni elettorali, aveva inquietato il Codacons che, in assenza di trasparenza, aveva minacciato il ricorso al Tar “finalizzato ad impugnare il via libera della Consob”. Secondo il prospetto, la questione è sarebbe già risolta visto che, con una una missiva del Tesoro dello scorso 7 agosto, il ministero si è impegnato “al perfezionamento di tutti gli atti necessari alla corresponsione” secondo “modalità e tempi coerenti con l’operazione di privatizzazione in corso”. Senza però fornire dettagli più precisi. Non solo. Anche il rapporto con la Cassa Depositi e Prestiti resta un punto interrogativo nel futuro del gruppo: nel 2014 l’accordo con la Cassa ha fruttato 1,595 miliardi di commissioni, ma che non è detto il rendimento resti tale nei prossimi anni. Anche perché, come si legge nel documento ufficiale della quotazione, “non vi è certezza che l’accordo con Cassa depositi e prestiti venga rinnovato alla scadenza”.

Per quanto riguarda Banco Posta, il documento si sofferma sull’impegno del gruppo nella gestione del rischio ricordando che la società ha in pancia strumenti di finanza derivata, “il cui fair value è negativo per 976 milioni di euro al 30 giugno 2015 ( 1.672 milioni al 31 dicembre 2014)”. La parte più consistente prospetto sulle attività finanziarie del gruppo è però dedicata a Poste Vita e Poste Assicura, le galline dalle uova d’oro di Poste Italiane. Entrambe sono “esposte nei confronti del debito sovrano, quasi esclusivamente italiano, avendo investito gran parte delle proprie attività in titoli di debito governativi” per un ammontare pari al 74,55% degli investimenti. Va da sé che “un peggioramento nel merito di credito dell’Italia, accompagnato da un incremento nello spread dei titoli governativi italiani, comporterebbe una riduzione nel valore degli investimenti di Poste Vita e Poste Assicura – ammonisce il documento – con conseguente effetto negativo sul margine di solvibilità e, più in generale, sull’attività, sulle prospettive e sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale delle stesse e del gruppo”. Forse anche per questo Poste Vita ha deciso di investire 3 miliardi di riserve a garanzia delle polizze nel mattone in Europa e negli Stati Uniti e ha indetto una gara per selezionare uno o più gestori internazionali specializzati nel settore. In cosa ci sono nomi come Bnp Paribas, Doughty Hanson,Hines e anche Mgpa, società, quest’ultima, di proprietà del gigante Blackrock i cui vertici hanno recentemente incontrato Renzi negli Stati Uniti.

Riusciranno lo sconto e la promessa sulla cedola a garantire il successo della più grande privatizzazione d’Europa degli anni duemila? Di certo le banche coinvolte nell’operazione (Banca Imi, BofA Merrill Lynch, Citigroup, Mediobanca, UniCredit, Credit Suisse, Goldman Sachs, JpMorgan, Morgan Stanley e Ubs) ce la stanno mettendo tutta. Caio ha girato mezzo mondo per decantare le qualità di Poste. E anche il governo ha recentemente puntato una fiche sull’operazione allungando di un anno il monopolio dei recapiti giudiziari. La parola passa ora al mercato. Con il contributo sostanziale anche dei piccoli risparmiatori italiani.

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