Quando ormai si pensava che il Movimento avrebbe preso tempo ancora, Gianroberto Casaleggio è salito sul palco di “Italia 5 Stelle” e ha fatto l’annuncio: la futura squadra di governo sarà scelta in rete. Così come il candidato presidente del Consiglio e pure come il programma “che sarà pluriennale perché basta governare con le emergenze”. Parole ovvie per gli attivisti, ma che se dette dal fondatore che, piaccia o no, siede nella stanza dei bottoni del Movimento, suonano un po’ più ufficiali del solito. I tempi? Sarà una procedura che partirà poco prima delle elezioni per non bruciare i volti. Gli esterni qualificati che possano fare il governo dei migliori? Lo pensano in tanti, ma non si può dire anche se è da sempre l’idea che ha in testa Casaleggio. Sarebbe il “governo di chi può fare meglio”, ma con un’incognita: la sua indipendenza di pensiero quando rispettare il programma è quasi l’unica regola imprescindibile. Dettagli in fondo che saranno definiti più avanti e comunque a dire l’ultima parola saranno gli iscritti.

Morale: niente corse per la poltrona, niente assemblee a porte chiuse o neppure consultazioni del direttorio. Il governo sarà scelto dal basso: “Noi siamo un trend”, ha detto Casaleggio dal palco, “che è il trend del futuro. Il trend della democrazia diretta e delle rinnovabili”. Torna a ronzare nelle orecchie l’idea della democrazia diretta del M5S. Per carità non se ne era mai andata, eppure gli ultimi voti online scarseggiano nella memoria. Gli iscritti non hanno votato, tanto per fare un esempio, per il nome da proporre al cda Rai e la candidatura di Carlo Freccero è nata dopo alcuni colloqui riservati. Sembrava, quello sì, che il trend fosse di fare più i mediatori politici e meno gli “informatici” in attesa di indicazioni dalla rete. Ora a rimettere la partecipazione degli iscritti al centro della scena è stato colui che fino a questo momento più volte è stato contestato per la gestione verticistica del voto online.

I 20mila militanti scarsi che sono arrivati all’Autodromo di Imola di partecipazione dal basso ne sanno qualcosa. Meno del previsto, sono però quelli che hanno affollato stand, gazebo e dibattiti pubblici per discutere dai palchetti e confrontarsi. “Ognuno di voi può cambiare le cose”, ha detto Luigi Di Maio che vive l’ansia di smarcarsi da una candidatura di chi corre favorito per vincere e poi è il primo a rischiare di cadere lungo il percorso. “Noi vogliamo che tutti possano partecipare alla cosa pubblica. E tutti devono poter dire la loro, anche quelli che non ci hanno votato”. Il vicepresidente della Camera ha poi ribadito alcune delle proposte dei 5 Stelle: il vincolo di mandato, il referendum propositivo, il recall, cioè la verifica periodica, da parte degli attivisti, del lavoro degli eletti. Insomma modi per chi sta in fondo alla catena di far valere le proprie idee su chi invece è in posizione di comando. “Siamo entrati nelle istituzioni per restituirvele”, ha chiuso prima di lasciare la parola a Grillo e Casaleggio.

Dal palco dell’Autodromo il clima è di quelli nuovi. Tutti a smentire potere e capacità, tutti a correre dietro nelle seconde righe. Ci si mette anche Grillo facendo sempre più l’artista e sempre meno il politico. “Sogno un Movimento senza il mio nome nel logo”. Anche se poi se ne va cantando “everybody needs somebody“, della serie i 5 Stelle di quella faccia hanno ancora bisogno.

Il Movimento che torna alla rete fa così una scelta: rispettare le regole costi quel che costi e non snaturarsi. Sceglie di restare ancorato ai principi degli inizi e si prende il rischio: che fare la politica a modo loro voglia dire non andare ancora al governo.

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