Sale il Pil ma non c’è una vera ripartenza. Colpa, per il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, di “tutte le complicazioni burocratico-amministrative” che ingessano il Paese. E la riforma fiscale soddisfa, almeno sulla carta, anche questa richiesta di semplificazione che arriva dagli industriali. Con il decreto sulla “certezza del diritto il governo Renzi ha introdotto infatti un meccanismo attraverso il quale imprese e Agenzia delle Entrate potranno dialogare per prevenire le liti fiscali. Per beneficiare di una forte semplificazione degli adempimenti amministrativi i contribuenti dovranno cooperare con l’amministrazione finanziaria e organizzarsi in maniera tale da prevenire gli illeciti tributari. L’accesso al nuovo regime dell’adempimento collaborativo sarà però riservato soltanto ai contribuenti di grandi dimensioni, mentre non è stata data attuazione al tutoraggio per le imprese minori previsto dalla delega fiscale. E leggendo il provvedimento si scopre che su alcuni punti l’esecutivo si è tenuto talmente sul vago che “certezza” e tutela del (grande) contribuente restano un miraggio. Ciliegina sulla torta, le forze a disposizione delle Entrate appaiono insufficienti per gestire questo nuovo regime come previsto dal decreto.

La “rivoluzione copernicana” nei rapporti tra fisco e imprese – La premessa è che l’Italia sta tentando di migliorare le relazioni tra Fisco e imprese, da sempre caratterizzate da una ostilità più o meno latente. La delega fiscale ha imposto l’introduzione di strumenti di cooperazione che consentano di monitorare la vita aziendale e sciogliere eventuali dubbi sulla interpretazione delle norme tributarie. Il fine ultimo dell’azione amministrativa non è più soltanto recuperare l’evasione pregressa, ma diventa quello di indurre l’adempimento spontaneo e prevenire il contenzioso, per entrambe le parti defatigante e aleatorio nei risultati. Un continuo flusso informativo tra contribuenti e Agenzia delle Entrate sostituirà i controlli ex post. Si tratta, almeno stando agli auspici, di una vera e propria inversione di rotta rispetto alla cultura del sospetto che ne ha fino ad oggi caratterizzato i rapporti.

Ocse chiama, Italia risponde – Questa “rivoluzione” non è certo sgorgata in maniera spontanea: la riforma fiscale dà infatti attuazione alle raccomandazioni dell’Ocse, che nel 2008 ha invitato gli Stati a trasformare le relazioni con i contribuenti passando da una logica conflittuale a un rapporto di “relazione rafforzata”: il contribuente dovrebbe fornire un adeguato flusso di informazioni sulla propria attività, mentre l’amministrazione finanziaria dovrebbe intervenire tempestivamente guidandone l’operato per prevenire i possibili conflitti. Nel 2013 l’Ocse ha introdotto il concetto di “adempimento collaborativo”, focalizzando l’attenzione sui modelli interni di gestione del rischio fiscale da parte delle imprese: se concordato con l’amministrazione finanziaria, questo dovrebbe garantire la correttezza di quanto dichiarato dal contribuente e consentire una pianificazione dei controlli amministrativi efficiente, riducendo al minimo le risorse umane necessarie, ed efficace, prevenendo la commissione di illeciti fiscali.

La responsabilità amministrativa degli enti si estende ai reati tributari – Raccomandazioni Ocse, esperienza del progetto pilota e principi della delega fiscale sono confluiti nel nuovo istituto dell’adempimento collaborativo, introdotto appunto dal decreto sulla certezza del diritto. Ma i punti critici non mancano. Per prima cosa, l’adesione al regime opzionale è subordinata alla presenza di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, vale a dire il rischio di evasione o elusione. L’utilizzo a fini tributari del modello 231 sembra un primo passo per l’inserimento dei delitti tributari nel catalogo di quelli che fanno scattare la responsabilità amministrativa degli enti: oggi infatti l’ente a favore del quale siano commessi reati tributari, ad esempio evadendo per costituire fondi neri all’estero, da destinare alla corruzione, non è colpito dalle sanzioni pecuniarie (fino a 1,5 milioni di euro) e interdittive (come il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione).

Impegni reciproci da rispettare. Ma entro quando? “Nel più breve tempo possibile” – L’adesione al regime dell’adempimento collaborativo comporta l’assunzione dei doveri sia per il contribuente – per esempio la comunicazione tempestiva di eventuali operazioni di pianificazione fiscale aggressiva – sia per l’amministrazione finanziaria, che deve pubblicare periodicamente sul proprio sito l’elenco aggiornato di quelle stesse operazioni. Tra gli impegni reciproci vi è quello di rispondere alle richieste di chiarimenti “nel più breve tempo possibile”. La commissione Finanze della Camera aveva già rilevato la genericità dell’espressione, chiedendone la correzione. Ma il governo Renzi non ha accolto questa osservazione per tre ragioni. Primo, “il predetto termine” sarebbe “espressione dello spirito collaborativo che ispira il regime di adempimento collaborativo”. Secondo, “non è stato previsto un termine specifico proprio al fine di poter graduare la tempistica delle risposte alla complessità delle richieste tenendo conto del reciproco coinvolgimento di entrambe le parti”. Terzo, “una diversa formalizzazione creerebbe un’asimmetria con la ratio stessa dell’istituto che è basato su principi di collaborazione”.
Ma, se non fosse ispirato da uno “spirito collaborativo”, che “adempimento collaborativo” sarebbe? Fuor di celia, l’uso di quel termine non garantisce la tutela della parte a favore della quale esso è fissato. Se non è predeterminato il limite oltre il quale un certo comportamento deve essere realizzato, come si può contestare l’inadempimento? Se non conosce il termine entro il quale l’Agenzia delle Entrate deve rispondere alla sua richiesta di chiarimenti su una certa operazione economica, il contribuente viene posto di fronte a un bivio: aspettare (ma fino a quando?) oppure agire, assumendosi il rischio di vedere contestare la legittimità fiscale del proprio operato. È così che si dà certezza all’ordinamento giuridico? È così che si incentivano gli investimenti? Secondo, dell’eventuale “complessità delle richieste” il legislatore può tenere conto fissando in misura adeguata il termine. Se è complessa l’operazione economica in relazione alla quale il contribuente richiede chiarimenti all’Agenzia delle Entrate, a un termine di 5 giorni sarà preferibile un termine più lungo, ma non un termine di durata indeterminata. Terzo, secondo la relazione governativa l’espressione “nel più breve tempo possibile” dovrebbe essere mantenuta per evitare una asimmetria tra i doveri posti a carico di contribuenti e quelli gravanti sulle Entrate. Una ragione per così dire estetica può giustificare la vaghezza di una norma? L’accostamento sarà forse azzardato, ma il ragionamento sottostante suona come il seguente: se macchio una camicia di sugo sulla manica destra, anziché lavarla è preferibile sporcarla di sugo anche sulla manica sinistra. Così, per simmetria.

Scarsa attenzione per le piccole imprese – Perché il contribuente dovrebbe accettare che l’Agenzia delle Entrate metta il naso in casa propria? I vantaggi sono numerosi: una procedura abbreviata di interpello, il dimezzamento delle sanzioni amministrative e la sospensione della loro riscossione fino alla definitività dell’accertamento, la valutazione in sede penale delle iniziative poste in essere dal contribuente per la gestione del rischio fiscale. Tra gli incentivi introdotti dal governo Renzi – ma assenti nella legge delega – vi è anche la cancellazione delle garanzie ordinariamente richieste per i rimborsi tributari. Fino al 31 dicembre 2016 il regime dell’adempimento collaborativo è riservato ai contribuenti con fatturato superiore a 10 miliardi di euro e a quelli che abbiano aderito al progetto pilota del 2013 e che abbiano un fatturato superiore a 1 miliardo di euro. Successivamente saranno ammessi i contribuenti con fatturato superiore a 100 milioni di euro o appartenenti a gruppi di imprese. Il decreto sulla certezza del diritto non contempla il tutoraggio per le imprese minori, previsto invece dalla delega fiscale. Per questa categoria di imprese, che pure costituisce l’ossatura dell’apparato economico nazionale, mancano all’appello l’assistenza fiscale, le dichiarazioni precompilate e la riduzione degli adempimenti.

L’Agenzia delle Entrate ha sufficienti risorse umane? – Per consentire l’attuazione del nuovo regime da parte dell’Agenzia delle Entrate, la delega fiscale prevede che siano organizzate adeguate strutture dedicate all’adempimento collaborativo “facendo ricorso alle strutture e alle professionalità già esistenti nell’ambito delle amministrazioni pubbliche”. A sua volta il decreto sulla “certezza del diritto” passa il cerino in mano alle “amministrazioni interessate”, imponendo loro di provvedere con le risorse umane disponibili. È attuale il rischio di una paralisi dell’azione amministrativa, già preannunciata dopo il caso dei “fantadirigenti” scoppiato nel mesi scorsi. Come rilevato da Rossella Orlandi, direttore dell’Agenzia delle Entrate, “c’è il rischio di arrivare a bloccare l’attività per mancanza di leve di comando. Siamo già un’amministrazione con un rapporto 1 a 40 e non avere oltre 800 dirigenti può indebolire e creare problemi alla struttura”.

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