La strage dei migranti di domenica scorsa ha lasciato al solito per un istante attoniti. Ma è inutile farsi illusioni. Giuseppe Cruciani esasperando un lucido cinismo esclama dalla trasmissione radiofonica più seguita d’Italia “già, ci pensi un po’ poi ti prepari per il massaggio che hai prenotato”. Il conduttore de La Zanzara è lapidario sull’indolenza dei più, e forse senza avere tutti i torti. Eppure domenica scorsa sono annegati in una tragedia evitabile e forse troppo facilmente dimenticabile un numero di persone pari a un terzo di coloro che sono morti negli attentati dell’11 Settembre 2001, l’evento che ha cambiato il mondo occidentale e non solo.

Si ha la sensazione del tempo che scorre prima che l’immagine del corpo di quel bimbo di pochi anni che galleggia senza vita sulle acque del Canale di Sicilia e che ha fatto il giro dei social network smetta di turbare gli animi di molti. Ora è il momento di pronunciare le due parole che possono fare la differenza tra la vita e la morte in mare: “gestione delle frontiere” e “corridoi umanitari”.

Sul primo punto, occorre essere chiari sui fatti. Il passaggio epocale da Mare Nostrum a Triton, dal search and rescue di tutto il Canale di Sicilia al solo controllo delle prime trenta miglia di mare oltre le coste italiane, da 9 a meno di 3 milioni al mese stanziati dall’Europa ha provocato un’impennata del numero di mancati recuperi e quindi di morti nel canale di Sicilia, che si renderà sempre più evidente ora che le temperature più miti rendono più frequenti le partenze dei barconi dei migranti dalle coste africane. Messa così appare ovvio, lapalissiano. Con buona pace di Renzi che ha dichiarato che con Mare Nostrum non sarebbe cambiato niente. Sarebbe stato almeno prudente, quando non decisamente sensato, lasciare un ragionevole dubbio su questo punto. E porre seriamente una questione di responsabilità in capo al governo Italiano e a Frontex.

Secondo punto. Secondo la Treccani, il corridoio umanitario è quella fascia di territorio di un paese in guerra in cui le attività belliche vengono sospese per consentire il passaggio di convogli per il trasferimento dei profughi e l’assistenza alle popolazioni. Qui la guerra è con il mare e con le norme.

Filosoficamente quella del ‘corridoio’ è una posizione diametralmente opposta ma altrettanto lucida rispetto a quella di Luttwak e di chi vorrebbe l’individuazione e distruzione dei barconi (vuoti) prima della loro partenza.

Senza vittime, certo, dicono, tranne qualche danno collaterale calcolato a piè di lista. Il corridoio umanitario in questo caso rappresenta al contrario un percorso di attraversamento agevolato dei rifugiati dal paese di origine a quello di destinazione. Il che esigerebbe, per inciso, di risolvere il problema dell’attraversamento del Mediterraneo ma anche -forse soprattutto- di sospendere almeno temporaneamente l’applicazione di un altro ostacolo, quel Regolamento di Dublino che blocca i migranti nel paese di sbarco, spesso l’Italia. Mentre la loro meta, dove si annidano speranze ma spesso anche figli e amici e congiunti era ed è altrove.

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