Molte volte ci capita di prendere a modelli la Germania o i paesi scandinavi, come esempi di democrazia superiore alla nostra. Non mi era mai capitato invece di poter prendere ad esempio la comunità kurda che vive in Turchia. Grazie allo splendido lavoro di Emanuela Irace che ha visitato e raccolto le testimonianze in quei luoghi semi-dimenticati dalle cronache italiane e tornati alla ribalta solo ora grazie alla guerra contro l’Isis da parte dei kurdi-iracheni.
Il popolo kurdo ha subito ogni sorta di violenza nella storia e vive ancora oggi il dolore di non avere una terra da chiamare patria, divisi tra più stati nati nel XX secolo. Hanno fatto scalpore e suscitato la simpatia occidentale, le immagini delle donne che combattono al fronte, quasi a dare un’immagine plastica di chiara ed evidente contrapposizione con l’oscurantismo del califfato. La democrazia paritaria kurda però non si riduce a questo, ma anzi fa di quella regione uno degli esperimenti di democrazia e parità di genere più avanzati al mondo.
Dopo le elezioni amministrative, avvenute un anno fa, a fine marzo 2014, il partito di Erdogan ha rafforzato il controllo sulla Turchia, ma non nella provincia di Van, a maggioranza kurda dove si è imposto il Bdp, “Partito della pace e della democrazia” del leader kurdo Ocalan. La particolarità del Bdp è di avere la doppia carica su tutta la gerarchia interna, ogni ruolo dev’essere occupato contemporaneamente da una donna e da un uomo. Dopo quest’ultima tornata elettorale il partito ha esteso la regola anche alle amministrazioni in cui ha vinto e oggi le città governate dai kurdi hanno il doppio sindaco. Ankara, che, con Erdogan, nel medesimo momento sta invece distruggendo il disegno di uno Stato laico e modernista messo in piedi dal leader Ataturk negli anni ’30 e sta guidando “indietro tutta” la Turchia, non intende riconoscere la doppia presenza nelle cariche pubbliche. Ciononostante gli amministratori curdi se la sono autoimposta ugualmente, dividendo stipendi e funzioni in modo paritario.
Si può discutere a lungo sul fatto che questa sia o meno una via praticabile, ma sicuramente è un esperimento che va guardato con interesse, per valutare a quali risultati utili per quella società, porterà nel tempo. E’ un momento di evidente travaglio per tutte le democrazie del mondo, messe in difficoltà dall’accelerazione imposta a tutti dall’economia e dal mercato globale. Il modello democratico attuale ha alla base quello della monarchia costituzionale inglese nata nel ‘600, con un forte potere del monarca contrastato da un altrettanto forte potere di controllo da parte dell’assemblea. Da allora si sono sviluppati modelli che hanno sempre riproposto l’equilibrio tra cariche monocratiche e assembleari. Il modello kurdo crea una vera e propria rivoluzione, perché elimina le cariche monocratiche e crea una via alternativa di democrazia paritaria e partecipata, attraverso l’assunto che i due generi sono indispensabili alla migliore scelta, al più avanzato cambiamento. Osservare lo sviluppo di questo modello potrebbe aprire frontiere di sviluppo impensabili anche per l’Occidente.

 

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