Niente decreto. Alla fine Matteo Renzi ha deciso di “passare la palla al Parlamento” sulla scuola: la riforma si farà con un normale disegno di legge. E così centinaia di migliaia di precari restano in sospeso, delusi. Con il passaggio al ddl, nonostante le rassicurazioni del premier, si aprono non poche incognite sulla realizzazione del piano: perché assumere oltre 100mila docenti e ridefinire gli organici di tutte le scuole richiede passaggi burocratici obbligati, forse incompatibili con i tempi lunghi del dibattito parlamentare. E in ballo ci sono circa 180mila posti complessivi di qui ai prossimi 5 anni, e il destino professionale di oltre 300mila abilitati all’insegnamento. Il rischio è che tutta la riforma possa slittare di un anno intero.

NEL DECRETO “CONGELATO” ASSUNZIONI E NUOVI ORGANICI
Il rinvio è stata una sorpresa sgradita dell’ultimo momento. Ufficialmente motivato dalla volontà di coinvolgere di più le opposizioni e non abusare della decretazione, come da monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma forse anche dal timore di addossare interamente all’esecutivo le responsabilità di un provvedimento complesso. Nell’incertezza sullo strumento legislativo da impiegare si è persa un’altra settimana: il testo del ddl sarà approvato dal Consiglio dei ministri martedì prossimo, poi passerà alle Camere. Purtroppo, però, non è solo questione di forma. Dall’infornata di nuovi docenti dipende la realizzazione degli organici funzionali, dell’autonomia scolastica e dell’ampliamento dell’offerta formativi, i cardini della riforma. E il Ministero ha bisogno di mettersi a lavoro subito se vuole essere pronto per l’inizio del prossimo anno scolastico.

La “proposta” che Renzi presenterà al Parlamento, come preannunciato, consiste in un “piano straordinario di assunzioni per la copertura dei posti nell’organico dell’autonomia”: una rivoluzione nell’impiego dei docenti delle scuole e della didattica. Destinatari tutti i vincitori e gli idonei del Concorsone 2012 e gli iscritti nelle Graduatorie ad esaurimento. A questi si aggiungeranno, in base al fabbisogno, alcuni docenti (circa 20mila) delle Graduatorie d’Istituto (le liste che assegnano le supplenze; loro però solo a tempo determinato). Quest’ultimi, insieme agli altri precari, per essere assunti dovranno poi passare dal nuovo concorso 2016-2019, che avrà dei posti riservati per i docenti che hanno prestato servizio per oltre 36 mesi.

SERVE TEMPO PER DEFINIRE I POSTI E ASSEGNARE I DOCENTI
Questo il quadro a grandi linee. Matteo Renzi lo ha confermato e ha assicurato che “non c’è rischio che le assunzioni saltino”. Ma quanto delineato nella riforma prevede dei passaggi, a livello tecnico, che richiederanno del tempo. Innanzitutto definire i nuovi organici (con posti curriculari, di sostegno e “di potenziamento”): una dotazione di personale che verrà fatta prima a livello regionale, poi tra i diversi livelli territoriali, gradi di istruzione e classi di concorso; in proporzione al numero delle classi e degli studenti, ma anche tenendo conto di fattori sociali locali (come area a rischio dispersione o a forte immigrazione, su cui va trovato l’accordo con la Conferenza Stato-Regioni). Un lavoro molto specifico, dunque. Come anche l’assegnazione alle singole scuole (in base a sedi e classi di concorso) dei docenti neoassunti, che ovviamente potranno esprimere una preferenza. Gli insegnanti dovranno anche presentare un’apposita domanda online, con termine di scadenza fissato verosimilmente tra giugno e luglio. Alcuni potrebbero rinunciare, innescando la girandola delle sostituzioni.

Impensabile farcela senza sapere al più presto e con precisione chi, come e dove beneficerà del provvedimento (neppure il decreto specifica le cifre). Mentre un ddl prevede tempi di discussione più o meno lunghi, e soprattutto la possibilità di essere modificato. Le assunzioni sono abbastanza condivise fra i parlamentari, ma in Aula le varie correnti (anche all’interno del Pd) potrebbero cominciare a perorare la causa dell’una o dell’altra categoria (tra GaE e Gi, Tfa e Pas, i precari che aspirano ad una cattedra fissa sono circa il doppio dei posti disponibili). L’approvazione di piccole variazioni sarebbe una catastrofe, costringerebbe a rivedere tutto l’impianto. A meno di non porre la fiducia, il che però vanificherebbe l’apertura al dialogo per cui si è rinunciato al decreto. Renzi, di fatto, con il passaggio parlamentare costringerebbe l’Aula a ratificare ogni riga del provvedimento in esame. Senza modifiche sostanziali, per non far saltare le assunzioni.

IN CASO DI RITARDO GRAVI CONSEGUENZE
Così si spiegano i tanti dubbi all’interno dell’esecutivo. Persino dopo la conferenza stampa il ministro Giannini ha lasciato aperto uno spiraglio per il decreto: “Il veicolo lo decideremo martedì prossimo.  Per noi le assunzioni sono una priorità – ha detto –, sarà uno strumento che consenta di ottenere questo risultato”. Resta sul tavolo, dunque, l’ipotesi di scorporare dal ddl almeno la parte delle assunzioni. Probabilmente, viste le scadenze impellenti, sussisterebbero anche le condizioni di “necessità e urgenza” che motivano i decreti. Forse sarebbe la soluzione migliore; e non è detto che il governo non possa ricorrervi, ora o magari più in là dopo aver tastato la situazione in Aula. Di certo, in caso di contrattempi sul ddl e di slittamento delle assunzioni, le conseguenze sarebbero gravi. Sul piano politico, governo e ministero rimedierebbero una figuraccia storica. Su quello pratico, considerando che la scuola comincia a settembre e che tutto passa dalle assunzioni, l’intera riforma verrebbe posticipata di un anno esatto. Senza dimenticare che gli incarichi su posti vacanti dovrebbero essere riassegnati a supplenti, contravvenendo alle indicazioni europee e ingrossando le fila dei precari da stabilizzare. Matteo Renzi ha un’altra settimana per rifletterci: l’ultima parola spetta a lui. Intanto la riforma della scuola non è più così al sicuro. E pensare che a settembre 2014 sembrava cosa fatta.

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