Cosa nostra è “ancora vitale” nonostante inchieste e arresti. A Milano e nel Nord la presenza della ‘ndrangheta dipinge “un quadro inquietante”. Per non parlare di quello appena svelato dai magistrati in Emilia Romagna, dove “Bologna è terra di mafia”, “al di là di ogni pessimistica previsione”. E uno dei più importanti porti italiani, quello di Gioia Tauro, è “la porta d’ingresso della cocaina in Italia”, grazie a un “controllo totalizzante” della ‘ndrangheta. E non poteva mancare un accenno a Roma: nella capitale Massimo Carminati “ha potuto condizionare pesantemente il contesto politico ed amministrativo”. E’ la mappa tracciata dalla Direzione nazionale antimafia nella relazione annuale sul 2014 presentata oggi a Roma. Dalla quale appare sempre più netta la dimensione nazionale della pressione mafiosa, non certo una novità in sé, ma corroborata ora dai risultati delle inchieste del 2014 “Mafia capitale” ed “Aemilia” che hanno toccato territori finora poco esplorati dai magistrati antimafia.

Detto questo, “la valutazione complessiva del rapporto è moderatamente ottimistica”, ha affermato il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti (nella foto), nel corso della presentazione, alla quale è intervenuta anche Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia. “Vediamo scendere il numero dei delitti mafiosi intesi come delitti di sangue. Sono stati fatti passi avanti nel settore della contrasto patrimoniale ed in quello della cooperazione internazionale che è altrettanto importante”. Dopo le parole del Papa, il successore di Piero Grasso alla guida della “superprocura” afferma: “La Chiesa potrebbe moltissimo contro le mafie e per decenni non ha fatto niente. Ora inizia a muoversi qualcosa con Papa Francesco che è arrivato a fare la scomunica dei mafiosi. Speriamo bene”.

Ma non è solo la Chiesa che deve muoversi: “Si dovrebbe intervenire sul processo penale che è maledettamente e insopportabilmente lungo”, è l’allarme di Roberti. “Deve essere definito in termini ragionevoli è lentissimo perché il nostro processo penale è un ibrido fra il sistema inquistiorio e quello accusatorio”. Rosy Bindi ha messo invece l’accento sul rapporto tra mafia e corruzione: “La lotta alla corruzione è anche lotta alla mafia. Noi paghiamo il prezzo di un sistema che si è rilassato ma sugli ultimi 20 anni c’è un giudizio sommario che non accetto. Le leggi hanno nomi e cognomi”.

“COSA NOSTRA IN DECLINO? NO, ANCORA VITALE”. Cosa Nostra – nonostante sia stata fortemente colpita da indagini e arresti da parte delle forze dell’ordine – anche nel 2014 ha continuato a dimostrare una “costante vitalità” nelle varie parti del territorio siciliano nelle quali è presente, a cominciare dal Distretto di Palermo, sostengono i magistrati della Dna. Una “analisi non coincide con indicazioni, anche autorevoli, di altri osservatori del fenomeno mafioso che teorizzano una sorta di ‘balcanizzazione’ dell’organizzazione e un suo inarrestabile declino”.

Gli investigatori registrano una cooperazione orizzontale tra le famiglie mafiose della città di Palermo,”volta a garantire la continuità della vita dell’organizzazione e i suoi affari. Tra questi in particolare devono segnalarsi un rinnovato interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei “giochi” sia di natura legale che illegale”. In questo modo Cosa nostra “sembra, in sintesi, aver attraversato e superato, sia pure non senza conseguenze sulla sua operatività, il difficile momento storico dovuto alla fruttuosa opera di contrasto dello Stato ed aver recuperato un suo equilibrio”, conclude la Dna.

“BOLOGNA TERRA DI MAFIA”. L’espansione delle mafie nel Nord Italia è analizzata dalle relazioni della Dna ormai da molti anni, ma dopo i 117 arrsti dell’operazione Aemilia contro la ‘ndrangheta i magistrati antimafia usano parole durissime: intorno a Bologna  – l’epicentro dell’inchiesta Aemilia è in realtà tra Reggio Emilia e Modena –  il potere criminale di matrice ‘ndranghetista si è espanso “al di là di ogni pessimistica previsione”. E la Regione tradizionalmente modello di sana amministrazione oggi può ben definirsi “terra di mafia” nel senso pieno della espressione (leggi).

“MILANO, INTIMIDAZIONI E OMERTA'”. Per quanto riguarda Milano e la Lombardia, la relazione della Dna rimarca il predominio della ‘ndrangheta calabrese su Cosa nostra e sulle altre organizzazioni mafiose, peraltro già consolidato almeno dalla metà degli anni Novanta. Dopo decenni di insediamento in Lombardia, la ‘ndrangheta ha acquisito “un certo grado di indipendenza rispetto all’organizzazione di origine, con la quale ha continuato comunque ad intrattenere rapporti”. I clan, radicati al Nord ormai da diverse generazioni, come emerge da numerose incieste della Dda di Milano hanno progressivamente acquisito una piena conoscenza del territorio e consolidato rapporti con le comunità di residenza, privilegiando contatti con rappresentanti della politica e delle istituzioni locali.

La presenza sul territorio lombardo di strutture ‘ndranghetiste e il radicamento nella struttura sociale e negli assetti economici lombardi – è detto nella relazione – spiega la serie innumerevole di episodi di intimidazione, accertati dall’inizio del 2006 e in qualche modo riconducibili al fenomeno mafioso. “Ne è emerso un quadro inquietante – afferma la Dna – costituito da un imponente numero di fatti intimidatori, tutti caratterizzati dall’omertà delle vittime”.

Nella parte relativa al distretto giudiziario di Milano, il magistrato della Dna Anna Canepa esorta a mettere al bando il termine “infiltrazione“: “Il concetto di infiltrazione potrebbe avere avuto una sorta di effetto catartico e autoassolutorio per la società civile, dipinta come vittima di una specie di generalizzata estorsione”. Al contrario, “le investigazioni hanno dimostrato che l’imprenditoria non si limita a subire la ‘ndrangheta, ma fa affari con la stessa, spesso prendendo l’iniziativa per il contatto con la criminalità organizzata e ricavandone (momentanei) vantaggi”. Il termine più corretto per descrivere la presenza della ‘ndrangheta in Lombardia è dunque “radicamento“.

“PORTO DI GIOIA TAURO, CONTROLLO TOTALIZZANTE DELLA ‘NDRANGHETA”. Se negli ultimi anni i riflettori sono stati puntati sul radicamento dei clan al Nord, non bisogna dimenticare che il cuore del potere mafioso resta saldamente ancorato alle regioni di origine. Il quarto porto italiano per traffico merci, Gioia Tauro, è sotto il “controllo totalizzante” della ‘ndrangheta. Lo scalo calabrese è “la vera porta d’ingresso della cocaina in Italia”, grazie a “una penetrante azione collusiva” che permette ai boss di godere “di ampi, continui, si direbbe inesauribili, appoggi interni”. Tra giugno 2012 e luglio 2013, sottolinea la Dna, “quasi la metà della cocaina sequestrata in Italia (circa 1600 kg su circa 3700 complessivi ) è stata intercettata a Gioia Tauro”.

Le indagini svolte dalla Dda di Reggio Calabria hanno confermato l’assoluta supremazia della ‘ndrangheta nel traffico internazionale di stupefacenti. Gli imponenti profitti sono reinvestiti in particolare nel settore immobiliare.

MAFIA CAPITALE, PRESTIGIO DI CARMINATI ALIMENTATO DA LIBRI E GIORNALI”. Nel 2014, l’inchiesta Mafia capitale ha svelato un’organizzazione di tipo mafioso, secondo la Procura guidata da Giuseppe Pignatone, “indigena” rispetto alle mafie tradizionali. Il gruppo guidato dall’ex terrorista nero Massimo Carminati “oltre alle condotte tipicamente criminali dell’usura e delle estorsioni, ha realizzato una sistematica infiltrazione del tessuto imprenditoriale attraverso l’elargizione di favori, e delle istituzioni locali attraverso un diffuso sistema corruttivo”. Violenza e imprenditoria utilizzati indefferentemente secondo le esigenze. E, nota la Dna, Carminati poteva far leva su un  “prestigio criminale alimentato anche da articoli di stampa o libri che ne celebrano il passato delinquenziale, circostanza di cui lo stesso si compiace ritenendola funzionale ai suoi scopi, in ciò marcando la differenza rispetto ai capi delle mafie tradizionali”.

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