C’è uno scontro epico che si perde nella notte dei tempi, 14 miliardi di anni fa. Un confronto che si è risolto in un lampo di energia a favore di uno solo dei due contendenti, e che ha segnato il destino dell’universo. La storia del cosmo è iniziata con la vittoria, seppure di strettissima misura, della materia sull’antimateria, nonostante subito dopo il Big Bang le loro quantità fossero quasi perfettamente simmetriche. Una grande fortuna. Se fosse andata diversamente, tutto ciò che ci circonda, uomo compreso, probabilmente non esisterebbe. O avrebbe un altro aspetto. Ma allora che fine ha fatto l’antimateria iniziale? Cosa ha rotto l’originale simmetria, e perché non vediamo antistelle, antigalassie, e persino un antiuniverso?

È uno dei grandi interrogativi della scienza moderna. Adesso un team di fisici americani delle Università della California, a Los Angeles e del Minnesota, in uno studio appena pubblicato sulle “Physical Review Letters”, provano a dare una spiegazione. La materia avrebbe avuto un alleato inatteso, il celebre bosone di Higgs, finito nelle reti del Cern di Ginevra, dopo un inseguimento durato 50 anni. “Il campo di Higgs associato al bosone potrebbe aver favorito la formazione di particelle di materia nei primi istanti di vita del cosmo – affermano gli studiosi -, producendo quel minuscolo eccesso di materia che ha finito per prevalere sull’antimateria”.

Ma perché è così importante questa controparte speculare della materia? L’antimateria è un concetto che appare sfuggente, spesso relegato alle pagine dei romanzi. Eppure, fa ormai parte della vita quotidiana. Basti pensare alla “Pet” (Tomografia a emissione di positroni), uno degli esami diagnostici più comuni, dove la lettera “P” indica proprio il nome di un pezzetto di antimateria, un’antiparticella, l’esatto opposto del comune elettrone. Trovare l’antimateria significa poter sbirciare nell’universo primordiale. Sulla Terra è prodotta dagli acceleratori di particelle. Ma per scovare quella primitiva, occorre andare nello spazio.

Gli studiosi, infatti, nel 2011 hanno mandato in orbita un cacciatore di antimateria, nel tentativo di catturarla nei raggi cosmici, fossili del Big Bang. Si chiama “Ams” (Alpha magnetic spectrometer), e da quattro anni è agganciato a un osservatorio privilegiato nel cosmo, la Stazione spaziale internazionale (Iss). Basterebbe individuare uno solo dei nuclei di antimateria cosmica per fare un balzo indietro nel tempo di 14 miliardi di anni. Questi nuclei, infatti, possono essersi formati solo nel Big Bang. Ma l’Hubble delle particelle, come è stato definito Ams, ha trovato finora solo conferme indirette.

“L’obiettivo più eccitante della fisica moderna è provare l’ignoto. Cercare fenomeni che esistono in natura, ma che ancora non abbiamo mai immaginato, né dimostrato sperimentalmente per mancanza degli strumenti adatti”. Con queste parole Samuel Ting, premio Nobel per la Fisica nel 1976 per le sue ricerche sulle particelle elementari, ha salutato l’ultimo viaggio sulla Terra di Ams, di cui è responsabile, alla ricerca di antimateria. Lo strumento adatto di cui parla Ting potrebbe essere l’Lhc (Large hadron collider) del Cern, una pista magnetica di 27 chilometri, scavata a 100 metri di profondità vicino il lago di Ginevra, al confine tra Francia e Svizzera. L’acceleratore più grande del mondo dovrebbe tornare in funzione tra poche settimane, alla sua massima potenza, dopo un periodo di manutenzione durato due anni. Uno dei suoi obiettivi è proprio spalancare una finestra sull’ignoto, a caccia di nuova fisica e di uno zoo di particelle sconosciute. Tra queste ultime potrebbero esserci i costituenti della materia oscura, che permea un quarto del cosmo. Ma anche nuovi bosoni di Higgs, in grado di smentire o confermare, come previsto dalla teoria appena pubblicata, se nello scontro iniziale tra materia e antimateria il ruolo della cosiddetta “particella di Dio” sia stato davvero determinante.

L’abstract dello studio sulle Physical Review Letters

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