“Nell’ambito del cennato (sic) rapporto di lavoro, la banca si adopererà affinché il dottor Vigni venga tenuto immune da azioni, anche di terzi, in relazione al suo operato di Direttore generale”. Firmato: Giuseppe Mussari. Due righe al termine di una striminzita paginetta, senza intestazione, che regolano l’uscita dell’ex direttore generale Antonio Vigni da Monte dei Paschi di Siena. La lettera è datata 12 gennaio 2012 e fa riferimento alle “intese verbali raggiunte” tra lo stesso Vigni e Mussari. Si tratta della presunta manleva concessa a Vigni e già finita nel mirino di Bankitalia, finora inedita nei suoi contenuti. Un anno dopo, lo scoppio dello scandalo Mps travolgerà anche l’ex presidente e rischierà di spazzare via la terza banca italiana. Quelle ultime due righe, a distanza di quasi tre anni dalla firma della lettera e due dallo scandalo, continuano a produrre effetti singolari. 

Mentre a Siena è in corso il processo che vede Mussari e Vigni indagati per ostacolo alla vigilanza per aver occultato i termini del contratto derivato Alexandria con la banca d’affari Nomura (venerdì le repliche delle difese, a fine mese la camera di consiglio per la sentenza), a Firenze sono aperte una serie di cause civili intentate dalla banca e dalla Fondazione Mps contro gli ex vertici, Nomura e Deutsche Bank. Proprio sulla base di quel foglio di carta, la difesa di Vigni ha chiesto di escludere il proprio assistito dalle richieste di risarcimento. Con l’assurdo risultato che, se venisse riconosciuta valida, la banca potrebbe dover pagare lei l’eventuale risarcimento alla Fondazione. Oltre a non prendere una lira, almeno da Vigni, degli 1,2 miliardi richiesti complessivamente ai due manager e alle banche d’affari.

di Ettore Dionisi

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