Scorrendo il listone infinito dei soggetti politico-istituzional-imprenditoriali coinvolti a vario titolo nella faccenda del Mose di Venezia, il disegno criminoso più limpido, persino trasparente nella sua semplicità, apparterrebbe a Giancarlo Galan, l’ex governatore della Regione Veneto dal 1995 al 2010, poi ministro dell’Agricoltura e della Cultura, uno di  quel ristretto gruppo di dirigenti Publitalia che venne chiamato da Berlusconi a fondare Forza Italia ormai un secolo fa. Gli accusatori di Galan, tra cui la sua ex segretaria, sostengono come gli imprenditori che dovevano vincere certi appalti versassero mensilmente sul suo conto una sorta di “stipendio”, che poteva arrivare al milioncino l’anno. In cambio, evidentemente, della sua “attenzione”. Naturalmente, accuse tutte da dimostrare. Come da dimostrare, sono le accuse a tutti gli altri soggetti che sono stati privati della libertà personale, tra cui il sindaco Orsoni, la cui situazione, messa in parallelo con quella del Galan, sembra oggettivamente meno pesante.

L’unica differenza è che Orsoni è stato arrestato (è ai domiciliari insieme ad altri nove, altri 25 sono proprio in galera) mentre Galan, su cui pende una richiesta d’arresto, è libero grazie alla sua condizione di parlamentare. È giusto? È giusto in questa Italia devastata e devastata da più di mezzo secolo sul piano della corruzione, è giusto che un parlamentare della Repubblica, invece di avere più responsabilità degli altri cittadini, possa proteggersi con uno scandaloso ombrello istituzionale che gli permette di evitare il carcere almeno sino a quando si esprimerà l’Aula? Ciò che venne concepito, in tempi molto diversi, come l’estrema difesa di una sacra rappresentanza, e cioè il rapporto diretto tra parlamentare e cittadino, quel vincolo diretto che unisce storie politiche, passioni, orgoglio di appartenenza, oggi non tiene più. E va rovesciata la prospettiva: sono i cittadini a dovere essere difesi dai “loro” parlamentari, sono i cittadini che hanno diritto a essere considerati eguali anche nei rovesci dei loro diretti  rappresentati e non solo quando si tratta di sciacquarsi la bocca con la famosa espressione “espressione del popolo sovrano”.

No. Se il popolo è effettivamente sovrano, queste sono le occasioni per dimostrarlo. Avere paura, se non terrore, che la magistratura possa disporre della vita e della morte dei parlamentari e che in questo modo surrettizio possa stravolgere i governi e disporne in modo autoritario, è un impianto difensivo che non tiene più. Anche l’ultimo esempio, il voto sull’arresto di Francantonio Genovese, parlamentare Pd, ha dimostrato che quel meccanismo non risponde affatto a una lettura attenta, profonda, precisa, delle carte processuali (ma in quanti davvero le leggono?) e a una conseguente decisione, ma a una partita a scacchi tutta politica, sorretta da ben altre logiche che la semplice e diretta osservazione dei fatti.

La norma che protegge i parlamentari non è solo anacronistica, è ingiusta. Appartiene a un tempo passato in cui la reputazione era una cosa seria, il decoro una delle proprietà fondamentali della vita politica, la dignità un valore.  

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