Matteo Renzi potrebbe riuscire dove hanno fallito tutti: da Prodi che al massimo riuscì a mettere insieme con il vinavil di tutto (dai trotskisti a Lamberto Dini) a Veltroni con il suo pallino fisso dell’autosufficienza del partito, mito demolito dall’ultimo trionfo di Berlusconi (2008). Il segretario del Pd potrebbe mettere a segno l’impresa sempre sognata dall’ex Cavaliere a destra: il partito unico. D’altra parte non è nemmeno colpa di Renzi, ma un’operazione indicata dagli elettori. Lo hanno detto le urne. Il tripudio elettorale del Pd si è fondato sul recupero di voti ai Cinque Stelle, sullo svuotamento del bacino elettorale liberaldemocratico di Mario Monti e sulla riduzione ai minimi termini delle forze alla sinistra dei democratici. Se ne sono accorti in Scelta Civica, se ne sono accorti dentro Sel. E ora il segretario invita almeno a non spingere: “Nessuno di noi farà campagna acquisti in Parlamento ma siamo disponibili a ragionare e a riflettere” anche perché “immaginando che l’orizzonte della legislatura è il 2018 è fisiologico” anche per la “scomparsa di alcuni partiti politici”. Ma se così dev’essere, aggiunge Pippo Civati, “io guardo dall’altra parte”.

Ma c’è chi non viene nemmeno sfiorato dall’esito del voto. Anzi, proprio ora che il partito si esalta per la propria unità, la sinistra del Pd  ci crede e ci riprova. Vannino Chiti, che fino a un mese fa era visto come il nemico pubblico numero uno, ha presentato 20 emendamenti e tra questi si prevede il Senato elettivo (e una Camera dimezzata). E’ il punto su cui Renzi e il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi sono sempre apparsi inamovibili. Eppure la burrasca delle urne non ferma la minoranza del partito. Anche perché Renzi è apparso più aperto rispetto a qualche settimana fa: “Prima dell’estate non è uno slogan. Per approvare davvero quelle leggi – ha detto ieri il presidente del consiglio ai suoi collaboratori, secondo una ricostruzione di Repubblica – sono pronto a accettare modifiche. Sia sul Senato sia sull’Italicum. Ne discutiamo ma poi si vota. Anche perché sono sicuro che Berlusconi non si tirerà indietro”. E la proposta di Chiti potrebbe attirare sia i voti di Forza Italia sia del Movimento Cinque Stelle, almeno sulla carta. Insomma, forse il governo non c’entra con le Europee, come aveva detto il capo del governo prima delle elezioni. Ma Renzi potrebbe usare l’investitura e le glorie delle urne per giocare una partita questa volta tutta sua e, quando qualcuno non ci credeva già più, cambiare il volto all’assetto politico e istituzionale. 

Migliore: “Soggetto unico”. Fratoianni: “Errore”. Sel verso lo scontro
Il capogruppo di Sinistra ecologia e libertà alla Camera Gennaro Migliore l’ha detto in un’intervista a Repubblica: la sfida ora è “costruire un soggetto unitario di sinistra che possa far vivere le aspettative di cambiamento. Senza restare ciascuno, Pd e Sel, nel proprio contenitore”. Una sfida alla quale, in realtà, già da settimane guarda un gruppetto di parlamentari di Sel – una decina circa – che ieri si sono riuniti a Montecitorio proprio per fare il punto. C’è il mezzo miracolo delle europee, nonostante il successo renziano. E c’è che una parte del partito ha fatto fatica a sostenere la lista Tsipras, figuriamoci un altro partito del tot per cento a sinistra del Pd. Di tutto questo domani (venerdì 30) si parlerà nella direzione del partito. Ma Nicola Fratoianni, fedele vendoliano e coordinatore nazionale del partito, sbarra già la strada a strane idee: “Considero sbagliato immaginare di entrare nell’area di governo e proporre un partito unico col Pd”, piuttosto bisognerà impegnarsi per un progetto di una “sinistra innovativa e non minoritaria”. La posizione di Nichi Vendola, al momento, non è ancora esplicita.

Scelta Civica: “Calma, non andremo nel Pd”. Ma Monti: “Quella di renzi è la mia linea”
Poi c’è lo psicodramma di Scelta Civica, che in un anno e poco più è passato dai 3 milioni di voti delle Politiche ai meno di 200mila delle Europee che messi di fianco agli 11 milioni del Pd fanno specie. I giornali danno già il capogruppo alla Camera Andrea Romano in partenza armi e bagagli verso i democratici. Lui smentisce (alle 18), mentre il segretario dimissionario (ministro dell’Istruzione) Stefania  Giannini invita alla calma, come un qualunque steward sulla Costa Concordia. “Ho invitato i colleghi a non prendere decisioni affrettate – dice – Sono questioni che vanno metabolizzate e questo partito montiano ha subito di tutto. E ciò forse non è indifferente ai fini anche di quanto viviamo in questi giorni. Quindi un po’ di calma, un po’ di meditazione non credo che nuocciano”. Tanta è la meditazione che addirittura c’è chi parla di Costituente liberale per ripartire da zero e chi alza la mano per ricordare che però, dai, forse è colpa del simbolo perché Scelta Europea si capiva poco, Scelta Civica si capiva di più “e infatti alle amministrative siamo andati meglio”. Nel frattempo parla il fondatore di Scelta Civica, Mario Monti, che butta lì una frase sibillina: “Sul posizionamento di Scelta civica alle elezioni Europee, io diedi un altro suggerimento quando ero ancora presidente del partito, ma non è stato seguito – racconta il senatore a vita – Per questo, a maggior ragione, mi astengo dal dare altri suggerimenti. Resta il fatto che Scelta civica, nel febbraio 2013 con uno sforzo di cinquanta giorni e senza soldi, ottenne 3 milioni di voti e oggi, il grandissimo successo di Renzi deriva dall’aver aggiunto al consenso che già il Pd aveva, altri 2,7 milioni di voti”. Un attimo prima aveva ricordato di aver proposto un accordo a Bersani, prima delle Politiche del 2013: se rinunci a essere condizionato dalla linea di Fassina e della Cgil, corriamo insieme. Terzo indizio (ed ecco la prova del “suggerimento” di Monti ai dirigenti del suo partito): “La linea che Renzi sta vigorosamente affermando è la linea del mio governo, adattata a una situazione in cui l’emergenza finanziaria non c’è più: ossia mantenere sotto controllo i conti e fare le riforme strutturali per la crescita”. Se nei prossimi mesi qualcuno di Scelta Civica ascolterà Monti, la strada sembra segnata.

La riforma del Senato e i 20 emendamenti della sinistra Pd
Ma questo clima euforico potrebbe incrinarsi da qui a martedì, quando scadrà il termine per presentare gli emendamenti al disegno di legge sulle riforme. “Il governo dimostri di saper cogliere l’occasione mostrando ascolto e rispetto per il Parlamento – dice Roberto Calderoli, uno dei relatori – Se così sarà ci saranno tempi stretti e una grande riforma, diversamente ci costringeranno al Vietnam”. Quindi se le elezioni pesano, pesano in tutti i sensi, anche quando a parlare sarà la Lega nord, rivitalizzata dall’ultimo bagno elettorale. Ma quando Calderoli dice di ascoltare il Senato si deve necessariamente riferire anche alla sinistra del Pd. Chiti, promotore del ddl alternativo a quello del governo, ha presentato 20 emendamenti. Tra i punti principali c’è l’elezione diretta del nuovo Senato su base regionale e riduzione dei membri delle due Camere: 315 deputati e 106 senatori. Ma il voto di fiducia e l’approvazione della legge di bilancio sarebbero attribuiti alla sola Camera, mentre al Senato verrebbe assegnato anche l’esame e il voto delle leggi elettorali, dei trattati europei e dei provvedimenti che investano diritti fondamentali della persona. Proposte che potrebbero diventare terreno fertile come potere di scambio per Forza Italia e come strumento di guerriglia per il Movimento Cinque Stelle.

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