Barbara SpinelliLa caduta di Livorno che solo nel reducismo inguaribile di certo comunismo è da considerare un dramma, si accompagna alla caduta di stile di Barbara Spinelli che, sempre in un certo reducismo, suscita discussioni e reprimende che sarebbero degne di ben altre cause, per le sue piroette sulla giostra delle promesse. Pensavo alla Spinelli, al suo compagno (Tommaso Padoa Schioppa) e a Paolo Ferrero come tre protagonisti di una commedia all’italiana in cui ci si domanda come una certa sinistra sia riuscita a sopravvivere fino ai giorni d’oggi.

In principio fu Padoa Schioppa che, all’insorgere della crisi e nel suo ruolo di ministro del governo Prodi, diede una mazzata tra capo e collo alle aziende italiane imponendo il famigerato Durc (Documento Unico di regolarità  contributiva) in un paese, quale il nostro, in cui lo Stato pagava (e ancora paga) a distanza di anni. Una genialata operata da un tecnocrate alla presenza di un ministro comunista (Ferrero) che, con ogni probabilità, neppure comprese quale potesse essere la portata devastante di una norma del genere. Un conteggio, ancorché modesto, potrebbe annoverare in decine di migliaia le aziende che grazie al pensiero di Padoa Schioppa chiusero negli anni successivi i battenti. Chiedere pecunia ad una azienda a cui devi soldi, in effetti, non sembra essere la migliore delle idee. Né sappiamo, la compagna Spinelli  in senso lato per il primo e metaforico per il secondo, cosa abbia mai pensato di tale idea anche se dalla tribuna di Repubblica avrebbe ben potuto dirci qualche cosa. Il dubbio che anche lei non abbia capito granché è legittimo.

E arriviamo all’oggi in cui la Spinelli e Ferrero, sostengono, e ne hanno buone ragioni, il superamento di quella stessa austerità a cui ci aveva condannato (anche) Padoa Schioppa aggiungendo, alla crisi, il proprio personale ed originale contributo per bloccare l’operatività e la liquidità delle aziende.

Se questa è la sinistra che, in Livorno e in una nuova amministrazione, vede – a parere dei titoli dei giornali – la fine di una epoca c’è solo da rammaricarsi che tale fine non sia insorta molto prima. Rimangono gli attori della commedia a rappresentare il corto circuito di certa politica capace, a parole, di fare rivoluzioni e nei fatti di farci sperare che le facciano altri. Perché, con buona pace della retorica di tanto pensiero di sinistra, autonominatosi unico, la richiesta alle imprese di essere in regola a fronte delle decine di miliardi che uno stato – perennemente non in regola – deve a loro,  ha devastato il mondo del lavoro più di tanti Poletti o Fornero messi  insieme. Questi ultimi neo liberisti mentre gli altri… comunisti.

 

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