Strani tempi. Strani legami si sono formati fra parti politiche opposte, dopo avere scoperto di avere lo stesso programma. Adesso a volte lo scontro è se l’idea di chiudere il Senato sia tua o sia mia.

Più o meno tutto ciò che era la politica, un tempo, adesso governa insieme, con legami sempre più stretti, e intanto minaccia – l’uno all’altro, quasi per le stesse ragioni – il divorzio. Gli oppositori sono venuti di recente e da fuori. E senti che sono portatori di rigore e alla ricerca di un campo di gioco nel quale far pesare la propria diversità, non si sa se venendo più vicino o spostandosi più lontano, anche perché, incalzando la crisi, diventa difficile rispondere alla domanda: lontano dove? Lontano da cosa? Resta il felice slogan “tutti a casa”, che vuol dire proprio tutti. Ma resta anche il problema del vuoto. È mai esistita, salvo imposizioni violente, una politica vuota di avversari sul cui torto costruire le proprie ragioni? Eppure, ora che si avvicinano le elezioni europee qualche altra cosa si vede. È bel un problema e non si sa come se la caveranno. Ogni partito sono due. Due ce ne sono dentro, due se ne vedono da fuori, e lo sguardo forzatamente sdoppiato degli elettori crea una nuova, inedita fatica, che rischia di esprimersi in una vasta astensione.  

Ci sono due Pd, è innegabile. Non Renzi e contro Renzi. Il problema è molto più complicato perché dentro ogni aggregazione politica due mondi o visioni o futuri combattono dentro la stessa persona collettiva che è il partito in modo quasi psichiatrico. Due Pd vogliono vincere, l’uno con un legame ormai fisiologico e non districabile con gli ex avversari, prima tutti uniti nella lotta, poi solo con alcuni, che però vengono accettati come la irrinunciabile pietra di governo. L’altro è il partito che ha l’orgoglio esclusivo delle riforme. È convinto, e lo dice, di avere aperto finalmente le porte del nuovo mondo. E infatti le riforme si moltiplicano, si accelerano, si celebrano (si autocelebrano) e diventano un valore in sé, di cui si trascura persino di illustrare l’urgente necessità (pensate alla brusca abolizione del Senato), perché diventa un bene in se stesso e un marchio di fabbrica. In ciascuno dei due Pd c’è polvere di opposizione, ma è lo sdoppiamento che dovrebbe attrarre attenzione, visto che il progetto è di far durare a lungo (per anni) questa strana storia.   

Ci sono due partiti di Alfano, come si chiama, Ncd? Non lasciatevi distrarre da modesti espedienti elettorali, per esempio l’alleanza con Casini per la campagna elettorale europea. Il punto è che ci sono due Alfano, un sottomesso ministro dell’Interno, a cui sfuggono ogni tanto gesti e comportamenti del prepotente passato (il caso Shalabayeva, madre e bambina, arrestate di notte dalla polizia italiana e consegnate subito a un governo persecutore, gravissimo evento che, avrete notato, nessuno gli ha fatto pagare) ma che il più delle volte appare come un fedele top burocrate, bene attento a stare nei limiti dello strano legame con “la sinistra”. Ma l’altro Alfano, che compare all’improvviso senza cravatta nei giorni festivi, ha proclami di rottura da lanciare: uno è che le “riforme” non sono che l’attuazione del programma di Berlusconi (qualcuno va un po’ più indietro, ai tempi di Licio Gelli); un altro è che questo è il governo che la destra ha sempre voluto.   

E infine, in un modo o nell’altro, fa sapere che nessun legame dell’illustre passato è stato tagliato per sempre, il che appare ovvio, dati i precedenti di tutti loro. Se dico che ci sono due Forza Italia, l’immediata obiezione è che si tratta di un grosso oggetto frantumato. Eppure è vero se consideriamo ciò che resta della forza politica nell’insieme e del suo elettorato.    Osservate la scena: una Forza Italia è per la partecipazione immediata assoluta e per sempre al governo denominato, all’inizio, “delle larghe intese”, in quanto naturale governo di destra con programma di destra e autore delle riforme annunciate e mai fatte. Un’altra Forza Italia è per la lotta senza quartiere, casa per casa, seggio per seggio, finché tutto ciò che, con un po’ di fantasia, si può chiamare “sinistra” non sarà raso al suolo, politica, professori e giudici. Nella descrizione che ne ho fatto si noterà che ognuna delle situazioni che ho proposto, più che spaccatura e contrapposizione (come accade quando un partito si divide sulla base di visioni che appaiono inconciliabili) si tratta di una curiosa situazione di ambivalenza, di tipo più psicanalitico che politico.   

Guardate Brunetta mentre annuncia fuoco e fiamme nel caso che accada qualcosa che sta già accadendo. Guardate la Boschi mentre letteralmente intima ai professori di togliersi di mezzo, con il più bel sorriso del mondo, beata per la sua età più che per il potere che prematuramente brandisce. Guardate la Gens Alfana, popolazione che presidia i confini “moderati” della destra (mentre a quelli estremi provvedono i “Fratelli d’Italia”). Ognuno vuole e non vuole questa (la situazione così com’è, dove più o meno tutti governano) e quell’altra soluzione (rottura, rivolta e ritorno alle origini). E vi rendete conto all’istante che ogni riforma uscirà storta (ma ci sarà, in modo da nutrire critica e gloria), la pace sarà turbolenta (ma fondata sulla larga intesa), e le elezioni in Italia restano lontane (se si sentirà la necessità di farle). Per quelle europee, allacciarsi le cinture.

il Fatto Quotidiano, 13 Aprile 2014

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