Le ricerche del relitto del Malaysia Airlines, l’aereo scomparso l’8 marzo scorso con tutti i passeggeri e l’equipaggio a bordo, sono ostacolate dai rifiuti che ricoprono l’oceano. Sono tonnellate e rendono indistinguibili dal satellite il detrito di un aereo da un semplice rifiuto antropico. Lo rivela alla Cnn Muttilingam Sanjayan, scienziato di Conservation international, ong ambientalista che sta seguendo da vicino la vicenda del Boeing 777 che, stando alle ultime ricostruzioni, si sarebbe inabissato nell’Oceano Indiano, portandosi con sé le 239 persone che erano a bordo. Fino a qualche giorno fa, infatti, il problema principale della ricerca sembrava essere la scarsità di informazioni sulle rotte che avrebbe seguito l’aereo, in volo da Kuala Lumpur a Pechino, una volta scomparso dai radar.

Adesso il campo si è ristretto, ma la ricerca deve fare i conti con le “isole” di rifiuti che ricoprono l’oceano. “Non è come cercare un ago in un pagliaio – commenta lo scienziato all’emittente televisiva statunitense – è come cercare un ago in una fabbrica di aghi. Si tratta di un pezzo di detriti tra i miliardi che galleggiano nel mare. Due settimane dopo la scomparsa del Malaysia Airlines, una cosa sola è stata chiarita: il mare è pieno di immondizia, letteralmente”. Gli ultimi aggiornamenti risalgano a giorni fa, quando un satellite ha avvistato a 2.557 chilometri da Perth (Australia) 122 oggetti che potrebbero appartenere all’aereo.

Le immagini mostrano oggetti fino a 23 metri di lunghezza in un’area di 400 chilometri quadrati. La Malaysia aveva considerato possibile che i detriti avvistati fossero realmente dell’aereo, mentre il premier australiano, Tony Abbott, forse conoscendo le “sue” acque, aveva invitato alla prudenza. Tuttavia finora, secondo Sanjayan, è difficile stabilire se effettivamente quei detriti siano del Boieng 777 scomparso l’8 marzo. E questo, secondo, lo scienziato, proprio per l’enorme quantità di rifiuti che ricoprono l’oceano. Sono bottiglie di plastica, lattine, attrezzatura da pesca, detriti caduti dai container o vecchi relitti, che si accumulano, si degradano, si sbriciolano e formano i gyre, spirali di spazzatura, il più famoso dei quali è il North Pacific Gyre. Anche nella parte australiana dell’Oceano Indiano c’è un gyre. Secondo Denise Hardesty, una ricercatrice della Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation, l’agenzia scientifica australiana, nelle acque intorno all’Australia, ci sono tra 12.500 e 17.500 pezzi di plastica per chilometro quadrato.

A confondere le ricerca dell’aereo malese tuttavia sono i rifiuti lasciati dalle navi di carico che trasportano 100 milioni di container ogni anno in quella tratta. Alcuni vengono persi, mai recuperati e si trasformano in quei detriti che adesso rendono difficile la distinzione, da satellite, del tipo di materiale. “All’inizio delle ricerche – spiega lo scienziato – si erano avvistati alcuni elementi di grandi dimensioni che si pensava facessero parte dell’aereo, ma successivamente si è capito che erano probabilmente parti di container persi in mare”. Tutto questo non fa altro che rallentare le ricerche. “Il mondo – conclude Sanjayan – usa l’oceano come la sua toilette e poi aspetta che la toilette lo sfami”.

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