Per le donne ai vertici della società, potenti, con lavori importati, redditi da capogiro, un passato in scuole dalle rette incredibili, il divario di genere si sta azzerando. In alcuni ambiti, come ad esempio nel marketing, addirittura è un divario al contrario: le donne sono la maggioranza. Questo gruppo di privilegiate e instancabili lavoratrici in tutto il mondo raggiunge i 70 milioni. Sono donne che non devono chiedere il permesso di arrivare ancora più in altro, se vogliono, ben oltre il soffitto di cristallo in frantumi che calpestano con tacco 12 e suola Manolo Blahnik. Altro che quote rosa: il mondo è ai loro piedi. Quando vogliono trovano mariti degni della propria estrazione sociale, desiderosi di sposarle e di diventare i padri di una prole pronta per essere lanciata nel gotha della gente che conta già dall’asilo. E’ da lì, infatti, che inizia il percorso verso il successo delle piccole bimbe alfa, con monitoraggio costante dei genitori perché lo spettro del fallimento, a causa della competitività globalizzata, è comunque in agguato.

Può essere riassunto così il libro di Alison Wolf, Donne Alfa, pubblicato a inizio marzo in Italia dopo avere fatto discutere negli Stati Uniti e in Inghilterra dove è uscito lo scorso anno col titolo “Il fattore XX”. Uno spaccato frutto di un’analisi trasversale e accurata– con ripetute scivolate nel determinismo culturale e biologico – sui motivi e sui metodi che hanno portato all’ascesa delle donne di potere che stanno conquistando il mondo, insieme agli uomini loro simili. Perché le ricche e potenti hanno molto più da spartire con gli uomini loro pari che con le altre donne.

La sorellanza e la solidarietà femminile è morta e sepolta con buona pace delle femministe, ci ricorda più volte la Wolf, economista e docente al King’s College di Londra, dove dirige il Centro di ricerca internazionale per le politiche universitarie. Le donne ai vertici possono continuare nell’avanzata verso potere e ricchezza grazie alla manodopera e alla dedizione di altre donne che curano i loro pupilli, le loro case in città, al mare, in montagna e che stirano i loro vestiti firmati. Mentre le Alfa dominano, le donne della working class di quelli che Wolf chiama “i Paesi sviluppati”, con particolare insistenza su Inghilterra e Stati Uniti, sono in affanno perché guadagnano poco e non rinunciano al progetto di avere figli, che sono il vero senso delle loro vite. Per queste donne continuano ad esserci a disposizione quasi esclusivamente occupazioni “femminili”, che vanno dai lavori di cura retribuiti in casa, strutture pubbliche e private al fare le segretarie, in quella che viene chiamata una vera e propria “segregazione di genere”, funzionale alle donne ricche.

Tra queste due categorie c’è la fascia della middle-class, delle non così Alfa ma nemmeno così working class, che dalla loro parte hanno il fatto di aver studiato – anche se non nelle scuole più in del pianeta – di essere in grado di procurarsi un reddito con un lavoro gratificante e di essere libere di decidere se e quando fare uno o più figli. La Wolf sottolinea che farne troppi non conviene perché nella società dominata dal libero mercato in cui viviamo si rischia di finire col condurre una vita di fatiche e rinunce.

Nel tentativo di farcela col lavoro, le donne middle class spesso ritardano la gravidanza dopo i 35 anni ma così facendo, nonostante i prodigi della scienza, spesso non riescono ad avere figli. Si tratta di un rischio serio da mettere in conto, ci dice la Wolf, in uno dei tanti moniti che pervadono il testo a metà tra saggio, excursus storico e raccolta di storie personali che fungono da esperienze universali. Poco male, comunque, perché se è vero che a metà del secolo arriveremo a quota 10 miliardi di esseri umani sulla terra, quando il comportamento delle donne della middle class diventerà dominante, inizierà un periodo di decrescita della popolazione.

Tra quelle che finiscono per fare meno figli ci sono le italiane. Wolf cita spesso l’Italia, inserendola tra “i Paesi sviluppati” nonostante le percentuali, in termini di gender gap, siano penose rispetto agli Stati che dominano l’economia mondiale. Le italiane, sottolinea l’economista, rappresentano ancora soltanto il 41% della forza lavoro (contro il 48% della Svezia e il 46% dell’Inghilterra) e in casa fanno molto, troppo, più degli uomini. Dovrebbero smetterla di pulire così tanto e di viziare i figli e i mariti, dedicandosi con più impegno alla propria realizzazione professionale.

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