Il Jobs Act proposto da Matteo Renzi divide al loro interno centrodestra e centrosinistra, con critiche e apprezzamenti che arrivano da entrambi gli schieramenti. Ma incassa un’importante, seppure cauta approvazione dalla parti sociali. Dopo avere sperato in una “maggiore ambizione” da parte del sindaco di Firenze, è il segretario Cgil Susanna Camusso a commentare positivamente il progetto del segretario Pd.

“Salutiamo con molto favore che il Pd proponga una riduzione delle tipologie di contratti“, ha spiegato la leader sindacale. “Poi nel dettaglio bisognerà trovare una modalità di ingresso nel mondo del lavoro: il contratto di ingresso, l’apprendistato, vedremo… Siamo assolutamente disponibili a discutere e a ragionarci ma non in una logica di abolire la tutela nei confronti del licenziamento, bensì in una logica di ricostruire l’unità del mercato del lavoro”. Una discussione che, secondo la leader sindacale, non deve vertere sull’articolo 18. “Non è mai stato la causa o la ragione dei problemi che abbiamo”.

E ancora, la Cgil condivide il contenuto del Job Act sulla legge per la rappresentanza sindacale e per la partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali ma vuole vedere meglio “nel merito” del progetto. “L’idea di risolvere questo tema nella partecipazione azionaria dei lavoratori – ha spiegato Camusso- da un lato mi pare una scelta che riguarderebbe un universo molto piccolo di imprese, dall’altra non mi pare che determini un’efficacia della partecipazione dei lavoratori alle scelte, all’organizzazione e alle condizioni del lavoro. Per questo siamo per una interpretazione del dettato costituzionale che invece vada nella direzione tedesca, quella della codeterminazione, suggeriamo a Renzi il modello tedesco“.

Dall’altra parte del mondo della parti sociali, anche Confindustria esprime un tiepido apprezzamento alle idee del sindaco fiorentino. “La riforma del lavoro è un passo necessario ed essenziale per agganciare la ripresa”, ha commentato il direttore generale della Confindustria, Marcella Panucci in un’intervista al Messaggero. Riguardo alla proposta del segretario del Pd sull’articolo 18 per i neoassunti, ha spiegato: “Per ora si tratta di spunti, che devono essere riempiti di contenuti e dettagli. Vedremo”.

Oltre alle parti sociali, la proposta di Renzi mobilita – e non potrebbe essere altrimenti – anche il mondo della politica. Una prima frecciata arriva dall’interno del suo partito e, in particolare, da quello Stefano Fassina che si è dimesso dal governo in polemica con lo stesso sindaco di Firenze. Il Jobs Act, spiega l’ex viceministro, ”non è un piano, è un indice di titoli, largamente condivisibili visto che coincidono in gran parte con quelli contenuti nel documento sul lavoro approvato dall’Assemblea nazionale del Pd nel maggio 2010, e già richiamati nel programma del governo Letta”. E ancora, secondo Fassina, “mancano” quelli che ritiene “due titoli decisivi”, ovvero “una radicale correzione di rotta della politica mercantilista dell’eurozona”. I titoli presentati si limitano all’ambito delle misure dal lato dell’offerta, mentre – spiega – abbiamo un drammatico bisogno di sostenere la domanda effettiva”. L’altro punto decisivo che è assente, ha proseguito, riguarda la “redistribuzione del tempo di lavoro. Non le 35 ore, ma pensioni flessibili, contratti di solidarietà, part time, congedi parentali”.

Sull’altro versante del Parlamento, contro il piano di Renzi si schiera l’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, secondo il quale il segretario democratico “cede ai diktat della Cgil e si preoccupa solo di tenere unito il partito”. Secondo quanto spiegato dal capogruppo del Nuovo Centrodestra al Senato, “Renzi non ha avuto il coraggio di infrangere i tabù della sinistra, perciò propone uno scambio tra contratti di lavoro a tempo indeterminato con un periodo di prova un pò più lungo e la cancellazione di quelle tipologie contrattuali che in un tempo di aspettative incerte consentono alle imprese di creare lavoro”. Alla domanda se vede possibile una mediazione, Sacconi ha risposto: “La vedo molto difficile, evidentemente il lavoro è ancora un tema troppo identitario per il Pd’’.

Ma dall’area dei moderati arrivano anche incoraggiamenti al progetto del leader democratico. “Le proposte di Matteo Renzi debbono essere valorizzate perché rivoluzionano gli approcci tradizionali al problema dell’occupazione”, ha affermato Mario Mauro, ministro della Difesa, ai microfoni di Radio Anch’io. “L’elezione di Renzi alla segreteria – ha aggiunto l’esponente dei Popolari per l’Italia – risolve le contraddizioni all’interno del Pd”.

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