La direttiva europea sulla conservazione dei dati costituisce: “Un’ingerenza grave nel diritto fondamentale dei cittadini a rispetto della vita privata, istituendo un obbligo per i fornitori di servizi di telecomunicazioni telefoniche o elettroniche di raccogliere e conservare i dati sul traffico e sull’ubicazione di tali comunicazioni”.

Sono tanto clamorose quanto puntuali le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia europea, Pedro Cruz Villalón, chiamato a pronunciarsi sulle istanze riunite (C-291/12 e la C-594/12) presentate da Digital Rights Ireland, associazione a difesa dei diritti digitali, e dalla Corte costituzionale austriaca.

Si tratta di un vero e proprio affondo quello dell’Avvocato della Corte di Giustizia nei confronti della 2006/24, la cosiddetta “Data Retention Directive”, in forza della quale i fornitori di servizi di telefonia possono raccogliere e trattenere i dati relativi al traffico telefonico e alla localizzazione degli utenti fino ad un periodo di due anni per finalità investigative.

Una normativa considerata ora, nel suo complesso, del tutto incompatibile con il requisito, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui qualsiasi limitazione dell’esercizio di un diritto fondamentale deve essere prevista dalla legge.

Villalón sottolinea che le informazioni oggetto della normativa permettono di mappare in maniera “fedele e completa” comportamenti che rientrano “strettamente” nell’ambito della vita privata se non addirittura a fornire “un ritratto completo e preciso dell’identità privata”.

Il rischio è che tali dati possano essere utilizzati per finalità illecite, potenzialmente lesive della privacy, o in maniera fraudolenta e malevola, anche alla luce della considerazione che le informazioni personali non vengono conservate presso pubbliche autorità, ma presso gli stessi fornitori di servizi di comunicazione elettronica sui quali non ricade alcun obbligo di farle rimanere in ambito Ue.

Anche rispetto al principio di proporzionalità, previsto dal Trattato Ue, vengono ravvisati ulteriori gravi incompatibilità giuridiche, laddove la direttiva sui dati ne impone la conservazione per un periodo massimo di due anni.

Il legislatore europeo avrebbe dovuto prevedere, invece, specifiche condotte criminali atte a giustificare l’accesso delle autorità nazionali ai dati detenuti dalle telco, eliminando dal dettato normativo definizioni generiche come quella di “reati gravi”, impropriamente utilizzata dalla direttiva 2006/24.

Secondo l’Avvocatura, infine, l’accesso e il trattamento dei dati telefonici e di localizzazione deve essere riservato all’Autorità giudiziaria o, ad autorità indipendenti, con “filtri” caso per caso e obblighi di notifica e di cancellazione una volta che l’ utilità sia finita.

Pur censurando a 360 gradi la “Data Retention”, Cruz Villalón ha proposto di sospendere gli effetti della contestazione di invalidità per consentire di  adottare, entro un ragionevole lasso di tempo, i provvedimenti legislativi necessari.

Articolo Precedente

Abbonati a Il Fatto Quotidiano: daremo una mano agli studenti in difficoltà

next
Articolo Successivo

Diffamazione, Brunetta vs l’Espresso ma il giudice condanna l’ex ministro a pagare

next