Per molti spettatori dell’ultima generazione, Nelson Mandela, morto la notte del 5 dicembre, ha il volto di Morgan Freeman: così lo hanno conosciuto grazie a Clint Eastwood nel film ‘Invictus’, che per Mandela ha rappresentato una sorta di celebrazione finale, il punto d’arrivo di una vita che, da ormai più di 30 anni, si è giocata sul filo della popolarità mediatica.

Rinchiuso in cella, alla testa di un partito che sognava il sovvertimento dell’apartheid e poi la riconciliazione nazionale, Mandela ha sempre saputo intercettare i segni della comunicazione moderna, apparendo tra cinema e televisione, più di 50 volte da protagonista.

Di volta in volta lo hanno impersonato autentiche icone dello schermo, da Danny Glover a Sidney Poitier, dal meno conosciuto Dennis Haysbert al già citato Morgan Freeman. Quel che pochi possono ricordare invece è che la ‘prima volta’ del combattente sudafricano sul grande schermo data ormai 1992 quando, da poco liberato dal carcere, accettò l’invito di Spike Lee per prendere parte alla lavorazione di ‘Malcolm X‘. Interpretava un maestro di Soweto e il regista, storico propagandista della causa antisegregazionista, lo scelse come uno degli emblemi del suo lavoro dedicato a un altro grande rivoluzionario, sia pure animato da idee molto diverse.

Protagonista mediatico, Mandela ha poi lasciato più volte che la fiction si appropriasse della sua storia: ha sempre pensato che, specie per il pubblico occidentale, televisione e cinema fossero mezzi ideali per propagandare la causa del suo popolo. Il primo a interessarsi della sua storia, per la verità, è stato nel lontano 1966 il regista tedesco Jurgen Gosslar, che affidò la parte del leader sudafricano a Simon Sabela per la fiction tv Il processo di Rivonia. Poi cala il silenzio della detenzione ed è nel 1981 che l’inglese John Morgan si occupa di Mandela in uno dei quattro episodi tv di ‘Prisoners of Conscience’. Ancora sette anni ed ecco l’attore americano Danny Glover, da sempre impegnato nelle grandi cause civili, a calarsi nei panni del detenuto politico per ‘Mandela’, scritto e diretto dallo stesso Glover.

Arriva la liberazione e parte il negoziato con il governo sudafricano per la difficile fase di transizione tra il vecchio e il nuovo Sud Africa. E’ Sidney Poitier nel 1997 a documentarla per i telespettatori americani con il bel teledramma ‘Mandela e De Clerk‘ di Joseph Sargent. Sullo schermo Poitier ha un rivale di grande carisma come Michael Caine nei panni del presidente De Clerk. Negli anni successivi Mandela, sempre più spesso chiamato Bafana, diventa il “personaggio” Mandela in racconti che hanno a che fare con la Principessa Diana, gli anni di Margaret Thatcher, il grande concerto ‘Live Aid’a favore dell’Africa, persino un thriller sullo sfondo violento delle lotte per la liberazione nazionale (‘Drum’, del 2004).

Poi si torna alla biografia dell’uomo e dello statista. Se ne incarica Billie August in un film dal passo televisivo che intende ricostruire gli anni del carcere e l’insegnamento quasi gandhiano di Mandela ai suoi secondini: il film è ‘Good Bye Bafana’ del 2007 e l’attore Dennis Haysbert si confronta con un’altra star occidentale come Joseph Fiennes nei panni del carceriere bianco. Attualmente il cinema sembra più interessato alle sorti della moglie del grande statista (due titoli su Winnie, la discussa consorte, di cui uno in preparazione), ma è grazie al Morgan Freeman di ‘Invictus’ (2009) che gli spettatori (specie i più giovani) rischiano davvero di sovrapporre il ritratto cinematografico alla realtà della persona. Grazie a Clint Estwood infatti la mimesi tra l’attore e l’uomo politico è impressionante: gesti, sorrisi, pensieri, pudori di Nelson Mandela hanno trovato in Freeman un doppio perfetto. Tanto che persino l’altro protagonista del film, Matt Damon, un giorno ha raccontato che, nel girare l’incontro tra il rugbista bianco e lo statista di colore, si è confuso e per un attimo ha pensato di essere ricevuto da Mandela in persona. 

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