“Qui c’è il dirigente che vuole ricoverarmi per farmi prendere l’incompatibilità carceraria, io voglio venire con te a casa, le cartelle ci sono di aggravamento. Mamma, mi stanno uccidendo, portami a casa, voglio stare con te”. Questo scriveva Federico Perna a sua madre Nobila il 19 giugno 2012. Ed è stata lei, ieri, durante un’intervista con la web tv del fattoquotidiano.it, che ha deciso di rendere note le parole di suo figlio. Federico non c’è più, è morto – forse a causa di un ictus, ma i risultati dell’autopsia non sono ancora stati depositati – alle 16,58 dell’8 novembre scorso nel pronto soccorso del carcere napoletano di Poggioreale. Aveva 34 anni e sognava di uscire per tornare a casa a mangiare le lasagne. Come abbiamo scritto ieri, Perna dal martedì precedente sputava sangue e aveva chiesto di essere ricoverato. Inutilmente. 

NELLA SUA ormai triennale storia carceraria, Federico spesso non era lucido, ma si rendeva perfettamente conto che in cella le sue condizioni di salute peggioravano a vista d’occhio. Sempre dal carcere di Viterbo aveva scritto un’altra lettera alla mamma: “Scusa se ero un po’ assente (al colloquio, ndr), ma qua mi hanno esaurito, mi sono aggravato di salute, il prossimo colloquio se ci sarà sarà diverso e positivo. Avevo voglia di abbracciarti ma ero come ipnotizzato”. Federico è malato, gravemente. Soffre di cirrosi epatica cronica e di epatite C, ha una personalità definita borderline, è sottoposto a una massiccia terapia di ansiolitici e tranquillanti. In cella c’è finito per il maledetto vizio dell’eroina, perché i soldi – anche quelli di una famiglia benestante – non bastano mai: e allora vai con i furti, con le rapine, con le lesioni.

Un cumulo di condanne che gli costa un brutto responso: fine pena 13 aprile 2018. Ma Federico è un soggetto ad alto rischio, e questo l’istituzione carcere lo sa bene. In data 28 giugno 2012, pochi giorni dopo la prima lettera, il responsabile dell’area sanitaria della casa circondariale di Viterbo, Franco Lepri, scrive alla Direzione della struttura e al magistrato di sorveglianza: “Il carcere al momento non è compatibile con lo stato di salute del detenuto e quindi è peggiorativo per la sua salute, i contatti con le strutture sanitarie esterne sono possibili in ogni momento. Si richiede rapido trasferimento in un Cdt (Centro di Detenzione Terapeutica, ndr)”. Federico rifiuta il ricovero nei reparti di medicina protetta, ma non lo fa perché non vuole essere curato. Lui vuole essere messo ai domiciliari. Non ne può più di essere trasferito da un carcere all’altro: Velletri, Cassino, Viterbo, Secondigliano, Benevento, Napoli. “Sono esaurito – scrive in una terza lettera alla madre –, infatti sono stato ricoverato, mamma mi stanno rovinando, sono due anni che giro carceri, non ce la faccio più. Lo so che questa non è una scusa perché il reato l’ho fatto e devo scontarlo, ma devo scontare il carcere e non una pena umana”.

C’è un altro medico che certifica, il 18 settembre 2012, l’incompatibilità di Federico col carcere, è il medico di reparto del presidio sanitario di Secondigliano: “Si ribadisce l’inadeguatezza all’allocazione in una sezione detentiva comune e si invita l’autorità preposta a prendere provvedimenti anche coercitivi ai fini di un’adeguata assistenza del paziente che in una sezione di detenzione comune non può essere garantita”. Provvedimenti coercitivi: se Federico rifiuta il ricovero lo si deve obbligare.

E INVECE nessuna “autorità” si prende questa briga. Ma c’è un referto che più di tutti dà il senso delle condizioni del ragazzo. Il giorno dopo la prima dichiarazione di incompatibilità, il 29 giugno dello scorso anno, un medico di reparto scrive: “Ho visitato il detenuto in cella: la sua cella è tutta sottosopra, lo troviamo privo di vestiti, non riesce ad alzarsi in piedi, a sostenere il capo, a mantenere la posizione seduta e a comunicare con noi. È obnubilato, non orientato nel tempo e nello spazio”.

Il deputato M5S Salvatore Micillo mercoledì ha presentato un’interrogazione in commissione Giustizia; gli ha risposto il sottosegretario Giuseppe Berretta, che, prima ancora di sapere come è morto il ragazzo, ha difeso l’operato di medici e personale penitenziario: “Seguito con costanza e regolarità”, “hanno più volte cercato di convincerlo ad accettare gli opportuni ricoveri, senza purtroppo riuscirvi”. Il ministro Cancellieri, sollecitata dalla signora Nobila, ieri ha preso carta e penna e le ha invitato “le sue condoglianze e la sua personale vicinanza”. Il guardasigilli ha anche disposto “rigorosa indagine amministrativa interna”. Ma a Nobila non basta: “Federico non me lo ridanno, ma adesso voglio la verità perchè quello che è successo a mio figlio non accada a nessuno altro. Non devono più toccare un ragazzo lì dentro”.

di Silvia D’Onghia e Lorenzo Galeazzi

da il Fatto Quotidiano del 30 novembre 2013

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