Il ciclone Hunger Games si abbatte sul Festival di Roma. Ed è subito delirio teenager. La memoria torna agli anni dei vampiri della saga di Twilight che portarono simili assedi umani negli spazi dell’Auditorium Parco della Musica. Oggi le centinaia (circa 500 ma tendono ad aumentare in serata) di adolescenti sbarcati da tutt’Italia a Roma non vedono che lei, Jennifer Lawrence, altrimenti detta “La ragazza di fuoco” come recita il titolo di questo secondo capitolo della trilogia.

Un’eroina per la quale vale il pernottamento in sacco a pelo fuori dal red carpet (almeno 50 erano già appostati ieri sera..) e un albeggiare di almeno 200 corpi urlanti stamani davanti ai cancelli, rendendo impraticabile ogni entrata. “Perché siete qui?” – “Perché Jennifer è un mito”. Risposta ovvia a domanda (percepita) banale. La giovane bionda, premio Oscar per Il lato positivo, sa bene quale responsabilità presso gli occhi del fan club planetario costi diventare l’infiammabile arciera di questa cine-serie post moderna ad alto tasso politico. E non a caso è fiera di pronunciarsi in campagne anti-dieta volte alle sue fan ancora in profumo di pubertà: “E’ doloroso mettere a dieta delle ragazzine se non è strettamente necessario alla loro salute. Il vero problema è che i media si rifiutano di prendersi le responsabilità verso le nuove generazioni. Bisogna cambiare il modo di interpretare la bellezza. Ed io sono stufa marcia delle diete”.

Paladina di saggezza – e giovane donna di indubbia intelligenza oltre che attrice talentuosa – la Lawrence è consapevole di essere ormai entrata nel loop del divismo-culto grazie ad una saga che qualcuno addirittura accosta a quella di Guerre Stellari, tanto per i contenuti (il cammino dell’eroe, la rivoluzione, la dittatura simil-nazista..) quanto per gli effetti esterni sul pubblico. Ma senza scomodare il mito di Star Wars, va detto subito che questo “Ragazza di fuoco” è cinematograficamente assai più fiacco del suo precedente (Hunger Games) dotato almeno della forza dell’originalità.

Di fatto la fenomenologia di Hunger Games non è estranea a Paperon de’ Paperoni, perché parliamo di un blockbuster macchina-produci-soldi: il primo episodio incassò nel mondo quasi 700 milioni di dollari, e dal secondo (in uscita americana il 22/11 e italiana il 27/11) l’attesa di Universal e Lionsgate è anche superiore. Il fatto che il film sia nel programma del Festival di Roma guidato dall’austero Marco Müller a una manciata di giorni dall’uscita è facilmente intuibile come desiderio di attirare l’attenzione di una città che forse continua a desiderare più una “festa” del cinema che non un “festival”. Ma in ogni caso la presenza del “blockbuster da festival” è ormai una comune pratica del circuito delle principali rassegne su scala mondiale: se anche Cannes porta in apertura “blocks” come Guerre Stellari o Shrek, perché Roma non dovrebbe avere il suo?

Articolo Precedente

Festival del Film di Roma: Siria, ‘confine’ del mondo

next
Articolo Successivo

Ozu Film Fest, trent’anni dopo si celebra il “cinepanettone” con Vanzina e Calà

next