Tra le tante liti che attraversano il Pd, ve n’è una che fa minacciare la scissione agli ex popolari fioroniani e riguarda l’affiliazione europea del partito che a oggi non aderisce né al Partito socialista europeo né al gruppo dei Popolari europei.
Una parte del vecchio ceppo di provenienza Ds vorrebbe che il partito si affiliasse alla famiglia del socialismo europeo, ma le dinamiche costitutive del Pd rendono questa confluenza incongrua.
Il Pd non appartiene alla tradizione della sinistra europea né per storia né per programmi. Il Partito democratico è la risposta italiana all’anima di un Paese che non è mai stato a maggioranza di sinistra e che probabilmente non lo sarà mai.
Se si può trovare un referente della “sinistra” europea per Matteo Renzi – il principale favorito alla segreteria – questo è senz’altro Tony Blair il quale arrivato alla guida del Partito laburista è sì giunto al governo, ma ha modificato il Labour al punto da renderlo irriconoscibile, lasciando macerie dopo il suo ritiro.
Quanto all’opera di Blair come statista, questi non ha cambiato nulla della struttura ultra liberista generata dalla conservatrice Margaret Thatcher. La fortuna di Blair è stata quella di avere governato in una fase espansiva del ciclo economico, ma non è intervenuto per rimodulare l’articolazione sociale e ridistribuire la ricchezza, come ci si sarebbe atteso da un leader laburista.
Nel centrosinistra italiano, che ha sempre rifiutato demiurghi e salvatori della patria, si staglia ora l’ascesa di un peronista mediatico in salsa fiorentina.
La scaltrezza di Renzi gareggia con il fuoco perpetuo dell’ambizione che lo anima. E’ il suo mastodontico ‘io’ a generare un programma che, se sarà coerente con la sua persona, sarà rimodulato a ogni refolo di vento e, dato che gli si può attribuire una buona dose d’intuizione, sarà tempestivo a intercettare il volgere degli umori.
Se chiedete a un renziano della prima ora, o a un camaleonte opportunista dell’ultimo minuto, per quale ragione si deve sostenere il sindaco di Firenze, l’interpellato, più che individuare un punto programmatico, risponderà: “Perché con lui si vince”.
L’idea che le elezioni si riducano a una partita, è molto berlusconiana perché alle abili strategie della competizione elettorale poi succede che, se si vince, bisogna governare. Qui cominciano i nodi. Si potranno raccontare favole ipnotizzanti di imminenti propizie congiunture che renderanno radioso il futuro, salvo trovarsi di fronte la fotografia di un’Italia che racconta tutt’altro.
Lo sfiancamento e l’esasperazione presenti nel Paese sono il potenziale fermento di un nuovo scontro sociale fra il sistema e le giovani generazioni che da non garantite – quali erano prima – ora rischiano di recedere ulteriormente trovandosi escluse ed emigranti.
Affidare a Renzi la guida del Pd è coerente con l’anima di un partito il cui vero patto costitutivo si basa sulla gestione del potere per il potere.
Il Pd ha la volontà politica per riformare l’iperliberismo dominante? E’ in grado di avere forza e autorità morale per rianimare il sentimento di legalità e ridurre l’enorme divario di ricchezza del Paese?
Conseguentemente alle politiche dei governi di centrodestra (berlusconiani, montiani o lettiani), l’Italia attualmente è al secondo posto in Europa per disparità nella distribuzione dei redditi.
Per invertire la tendenza, occorrono politiche di impatto che non possono essere realizzate con i guanti di velluto di chi mira ad accontentare tutti. “Non vogliamo essere il partito delle tasse” si afferma nel programma renziano di candidatura alla segreteria, o ancora: “Si difende la costituzione solo se si attacca la rendita”. Commendevole, ma su come affrontare la rendita, non si spreca nemmeno una riga mentre sarebbe interessante sapere cosa Renzi vorrà fare della finanza e che peso avranno i suoi amici finanzieri.
Il modo più efficace per restringere la forbice sociale fra i troppo ricchi e i troppo poveri è restituire maggiore progressività alle aliquote d’imposta (principio sancito dall’articolo 53 della Costituzione), ma nel corso del tempo i governi hanno ridimensionato il criterio progressivo, a vantaggio dei più abbienti. Anche su questo tema, sia nel programma del 2012 sia in quello del 2013, Renzi tace.
E gli altri candidati alla segreteria del Pd?
Più che su una sostanziale diversità di programmi, i candidati si muovono dentro a logiche di equilibri interni, espressione di un partito diviso, dove i personalismi sovrastano i contenuti e il senso di appartenenza.
Il mercato delle tessere è l’ultima autobiografia del Pd, con i suoi torbidi sommovimenti che i dirigenti hanno condannato solo a parole. La partita che si gioca con le tessere mira al controllo periferico della macchina che significa anche la gestione dei suoi patrimoni.
Eppure ci sono persone stimabili nel Pd per passione, preparazione e onestà, ma questa componente incide in maniera trascurabile sulla somma finale.
A una giovane deputata emiliana eletta con il Pd, appena arrivata a Montecitorio, i suoi nuovi colleghi le hanno chiesto di che tendenza era: bersaniana, renziana, bindiana, giovane turca e siccome non si sentiva niente di tutto ciò, è rimasta spaesata, con qualche difetto di comprensione.
La verità è che contano i carrieristi e i capobastone che picchiano sulle speranze di chi vuole una politica migliore.