Rubi il lavoro a noi Inglesi”, “Vattene, ci rubi il lavoro”, “Gli urlavano: Italian shit” questi i virgolettati impressi sulle prime pagine di siti ed edizioni cartacee dei giornali nostrani. Tutti titoli inerenti all’omicidio di Joele Leotta, diciannovenne di Nibionno (LC), compiuto Domenica 20 Ottobre nel Kent (sud-est di Londra) in circostanze ancora da chiarire. Ma una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale, come una freccia dall’arco scocca vola veloce di bocca in bocca (cit. De Andrè). Ansa, Repubblica, Corriere, Rai, si inseguono amplificando la tragedia, copincollando gli strali dalla concorrenza. Per un giorno intero i media italiani gridano al razzismo inglese. Invano la polizia del Kent specifica che gli indagati non sono inglesi e che il razzismo non c’entra nulla. Chi ha pronunciato quelle frasi?

Qualche telefonata acclara che Ansa non sa, Rai e Corriere (primo a dubitare della veridicità delle affermazioni di cui sopra) hanno ripreso la cronaca da Repubblica, secondo la quale ciò marcherebbe la fine del multiculturalismo british. Si appura che un’edizione locale online de Il Giorno è stata la prima a riportare, in un profluvio di “si dice”, “sembra” e “a quanto pare”,  la versione divenuta virale: “Ucciso perché Italiano” titola roboante, quando la notizia da dare sarebbe stata “Italiano ucciso senza un perché”.

Il lezzo di menzogna della ricostruzione giornalistica può essere facilmente colto da noi emigrati in Inghilterra. Che non sia Canaan, ove scorre latte e miele, ne siamo consci: spesso fra gli strati sociali più disagiati si verificano episodi di random violence, ma suona ossimorico l’allarme razzismo in un paese la cui storia moderna si fonda sul melting pot. Ogni etnia è ben accetta e può integrarsi; raro udire un connazionale lamentarsi per discriminazioni d’origine, siamo solitamente benvoluti, stereotipi ci vogliono ottimi cuochi, amanti passionali, esperti di moda…Il supposto movente xenofobo pare campato in aria: tale evento, in Uk, appare solo su gazzette locali, senza l’accompagnamento di ipotesi sulla pista seguita dagli inquirenti. Possibile che i newspapers anglosassoni si siano lasciati sfuggire uno scoop? O i quotidiani italiani hanno preso un abbaglio?

Un episodio di razzismo qui è più di una notizia: tema che – quando emerge – scuote una delle comunità più multietniche al mondo. Un esempio? Lo scandalo suscitato dalle parole del calciatore Wilshere, contrario all’inclusione di naturalizzati in nazionale. I media criticarono lungamente e duramente queste dichiarazioni. Strano che nessun foglio importante si sia curato di un episodio con tale dinamica.

I cronisti italici, trascinati dal desiderio di dare in pasto un succulento pezzo al pubblico, hanno speculato sulla morte di un ragazzo, vittima di condizioni di vita precarie come tutti i migranti, e hanno sostituito deontologia professionale e vaglio delle fonti con finalità di marketing, attraverso virgolettati ipotetici, buoni per aumentare tiratura o accessi. Quando risultano lituani i responsabili e pare si tratti di uno scambio di persona, la rettifica si compie in un rigo a fondo pagina.

Nello specifico pende l’aggravante di recidiva. Similmente vennero narrati gli scioperi alla raffineria Lindsey (2009): pioggia di agenzie sulla presunta xenofobia anti-italica, interventi dei presidenti di regione Sicilia e Repubblica. Alla fine, emerse che gli scioperanti avevano incrociato le braccia a causa di una disputa sul rispetto di accordi contrattuali tra i lavoratori e la ditta appaltatrice Irem. A quel punto i media italiani non erano più interessati. Gli stessi che, se un uomo porta i figli di amici in spiaggia gridano al rapimento, se quell’uomo è rumeno.

Si dice che il primo a urlare “al ladro” è il ladro stesso. Fosse lo stesso anche per il razzismo?

di Marco Blangero: giovane ligure impegnato in un progetto di social Business a Londra

Beatrice Da Vela: PhD student, University College London

Giacomo Fedeli: PhD student, King’s College, Londra

Andrea Pisauro: PhD student, University College London

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