C’era da aspettarselo che lo scorso 5 ottobre, quando a Milano s’è tenuto un convegno di Alleanza Cattolica, l’associazione che si propone di diffondere la cosiddetta ‘dottrina sociale’ della Chiesa, si parlasse della legge contro l’omofobia, allora da poco approvata dalla Camera. Era presente l’ex Ministro ed attuale deputato del Pdl, Maurizio Sacconi, che ha definito il testo di legge un qualcosa di pericoloso; “pericoloso – ha detto – per la libertà”. Parole poco edificanti quelle dell’onorevole di Conegliano, che però ha reso l’idea di quanto quel provvedimento stesse vedendo la luce tra il forte contrasto di certi. Ma da più parti – Europa compresa – c’era richiesto e venivamo viceversa bacchettati per il ritardo col quale andavamo ad approvarlo.

Sacconi, nell’occasione di quel consesso cattolico, ha proseguito affermando: “L’attenzione del Partito comunista al senso comune del popolo era molto forte; ma non ritrovo quest’attenzione nell’attuale Pd che mi sembra generalmente nichilista, cioè propenso a negare i principi della tradizione”. Infine Sacconi ha sottolineato come sia “un piccolo paradosso” il fatto che ”a capo di questo aggregato ben lontano dal vecchio partito comunista, che potremmo definire una sorta di partito radicale di massa, sono due cattolici: Letta e Renzi”.

Le parole di Sacconi m’hanno dato una brutta impressione: ricadere nel solito gorgo di polemiche pretestuose, gratuite ed ideologiche. Una situazione che forse non ha fatto bene a questa legge sin dalle sue prime battute avute nelle varie Commissioni. Una normativa che doveva essere semplicemente una questione di rispetto di principi sacrosanti e generali, che è stata invece riletta attraverso la lente miope e deformante della politica e dei preconcetti. Ma la decisione del Parlamento italiano di affrontare finalmente il tema dell’intervento legislativo contro l’omofobia e la transfobia, avrebbe meritato un’analisi super-partes, evitando di rimestare nelle solite, vetuste e pedanti, logiche di partito, di casacca o peggio ancora di ‘crociata’.

Anche il cammino tortuoso del Ddl al Senato ha fatto capire questo. La discussione in Commissione Giustizia di Palazzo Madama ha confermato le divergenze; mentre c’era chi invitata a un procedere più celere, monito più che altro di una vergognosa lacuna da riempire, il senatore Carlo Giovanardi (Pdl) ha dichiarato che era “inopportuno accelerare l’esame di un provvedimento che presenta aspetti inquietanti sotto il profilo della repressione della libertà di espressione, senza prima aver ricevuto dal Governo dati che consentano di chiarire se veramente esista l’asserita emergenza di ordine pubblico in questo campo”.

Giovanardi, evidentemente, polemizzava contro il tentativo di estensione della legge Reale-Mancino all’aggravante relativa a orientamento sessuale e identità di genere. Ma quello si sarebbe dovuto considerare un principio di civiltà e non un qualcosa che “minasse” la libertà di espressione. Insomma, quel che ha fatto male a questo Ddl è lo scotto pagato in nome dell’opportunismo politico. Un’occasione persa? Speriamo di no.

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