Aveva già un indice dei prezzi immobiliari battezzato con il suo nome. Ora Robert Shiller ha pure il premio Nobel per l’economia. Assieme a lui hanno ricevuto la massima onorificenza anche Eugene Fama e Peter Hansen. Tre professori che più diversi non si poteva immaginare. Scuole di pensiero opposte. In comune hanno solo gli obiettivi: un metodo per stimare i prezzi futuri di titoli, bond e valori finanziari. Hansen, il più giovane (classe 1952), è un teorico puro e si è occupato dell’analisi empirica dei prezzi. Fama, da Chicago, sostiene l’efficienza dei mercati. Come ha detto in una recente intervista, le turbolenze finanziarie attuali sono vittime della recessione e non causa, perché il mercato si regolamenta da solo. Di parere opposto Shiller: per lui fa fede l’esuberanza dei mercati e a lui, a onor del vero, sembrano essere andate quasi tutte le vittorie sul campo.

Già negli anni ’80, il docente di Yale aveva dimostrato che nel lungo termine esiste una tendenza costante a riequilibrare il rapporto fra prezzo di un titolo e dividendo. La sua fama viaggia però attorno a una delle parole più usate e declinate. Bolla: finanziaria, immobiliare, petrolifera, aurifera e persino dei debiti pubblici. Shiller è stato una delle poche Cassandre ad aver previsto che i prezzi delle case negli Usa fossero insostenibili. Da lì a poco sarebbe crollato il castello dei mutui subprime e sarebbe esplosa Lehman Brothers. Negli anni ’90 Schiller anticipò la bolla della new economy, i cui titoli azionari si gonfiarono fino a smosciarsi in poche settimane. Il Nasdaq dal valore record (10 marzo 2000) di 5.132,52 punti perse il 9% in tre giorni innescando poi la caduta delle quotazioni e la scomparsa di numerose dot.com. Gli insegnamenti di Shiller, nonostante queste due evidenze, sono stati però spesso fraintesi. Differenti filosofie hanno preferito leggere le bolle come eventi separati; errori che prima o poi scoppiano e spariscono. A molti banchieri può aver fatto comodo travisare gli insegnamenti di Shiller, ma l’economista non ha mai mollato e anche recentemente ha ribadito: “Le bolle speculative sono più complicate: a volte si sgonfiano perché cambia la storia che le ha originate, e poi tornano a gonfiarsi. Sembra più accurato paragonare questi fenomeni alle epidemie. Il caso dell’influenza ci insegna che può apparire all’improvviso una nuova epidemia proprio mentre un’epidemia precedente sta regredendo, se compare una nuova forma del virus o se qualche fattore ambientale accresce il tasso di contagio”. Accantonato il rischio della new economy, insomma, non è detto che gli stessi trend irrazionali non possano riaffiorare nelle materie prime o negli immobili. E dunque, fallita Lehman non si esclude un altro grosso fallimento. “Se emerge una nuova storia sull’economia e se questa nuova storia ha una forza narrativa sufficiente a scatenare un nuovo contagio nella mentalità degli investitori – sono sempre parole di Shiller – allora entra in scena una nuova bolla speculativa”.

Rovesciando il ragionamento esattamente all’opposto si arriva alle premesse di Eugene Fama. Il mercato è efficiente di per sé, solo che le informazioni vengono immediatamente inglobate e quindi influenzano gli andamenti nel breve termine. In sostanza negli studi di Fama non c’è spazio per le bolle. Eppure anche il professore di Chicago è arrivato a fornire quelle basi necessarie per la valutazione dei sottostanti ai fondi azionari. Strumenti fondamentali per qualunque investitore. Chi dei due ha ragione? Per Shiller c’è l’irrazionalità, per Fama la capacità di cogliere le informazioni. Tutte e due però sono stati premiati. Segno che in questo momento regna grande confusione anche sul valore intrinseco delle scuole di pensiero. Una sorta di caos economico. Ci piace però immaginare che la scelta della banca di Svezia (che assegna il premio per l’economia) sia stata mirata. Un messaggio agli economisti: collaborare per trovare soluzioni concrete, anche percorrendo strade diverse. Basta parlarsi addosso e vivere solo della propria teoria.

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