Non tutte le storie di migrazione finiscono in tragedia come quella di Lampedusa. Fortunatamente c’è chi riesce a raggiungere le nostre sponde e a concedersi la possibilità di un futuro. È il caso dei ragazzi del Liberi Nantes Football Club, la squadra di calcio composta da migranti forzati, persone costrette a scappare dal proprio paese per sopravvivere a guerre e persecuzioni. Il film Black Star – Nati sotto una stella nera, in uscita il 10 ottobre, è liberamente ispirato alla loro storia, iniziata a Roma nel 2007, quando quattro giovani italiani decisero di coinvolgere nelle loro partite di calcio i ragazzi dei centri d’accoglienza, provenienti soprattutto dai paesi africani: Togo, Guinea, Costa d’Avorio, Somalia, dalla Nigeria, dal Senegal ed Etiopia. Ma anche dall’Afghanistan e dall’Iran. In un campo di periferia, nel quartiere di Pietralata, è nata l’idea di formare la Liberi Nantes Football Club, da cui poi è scaturita anche un’associazione sportiva.

“Ho prima girato una serie tv di 30 puntate sulla loro storia – ha raccontato Francesco Castellani, il regista del film – Frequentandoli, giocando qualche volta a pallone con loro, ho avuto modo di conoscerli bene e di capire le dinamiche e i sacrifici che c’erano dietro questo impegno. Ho compreso gli equilibri instabili e le paure che caratterizzavano una squadra formata da migranti: alcuni giocavano una settimana, un mese, e poi sparivano, altri avevano timore di essere ripresi per paura che qualcuno potesse fargli qualcosa”. Nel film, patrocinato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – Unchr, la squadra si trova ad affrontare pregiudizi e soprusi: subisce infatti un’ordinanza di sgombero per le pressioni esercitate dal comitato di quartiere, dietro al quale si muove un imprenditore che vuole mettere le mani sul campo. Così i giovani decidono di occuparlo e di viverci barricati dentro.

“Fortunatamente nella realtà non è mai successo che cercassero di toglierci il campo – ha raccontato Daniela Conti, Presidente del Liberi Nantes Football Club – ma il film aveva bisogno di un espediente narrativo forte per mostrare le difficoltà di queste iniziative e i pregiudizi che ci sono ancora oggi nel nostro paese. Il campo ci è stato dato in concessione qualche anno fa dalla giunta Marrazzo che aveva prestato grande attenzione al progetto. In prima battuta la Regione iniziò anche i lavori per mettere a posto l’entrata. Poi subentrò la giunta Polverini da cui non abbiamo avuto nessun tipo di aiuto. Ultimamente, invece, siamo riusciti a riaprire un dialogo con la Regione”.

Il campo di Pietralata in cui si allenano questi ragazzi è stato ribattezzato “25 aprile”, proprio per la forza evocativa di questa data. Lì la squadra ha costruito la propria “casa”, i magazzini dove custodiscono il materiale, le lavatrici per pulire le divise. “Per quel che riguarda il campo – ha continuato la Conti – abbiamo un unico problema: avrebbe bisogno manutenzione e investimenti per sistemarlo, ma purtroppo non ci sono soldi. Ciò non ci permette di poterlo utilizzare come vorremmo, cioè renderlo un centro sportivo non solo per migranti, ma per tutta la popolazione della zona. Purtroppo non abbiamo sponsor. Ogni anno facciamo una campagna di raccolta del materiale sportivo, soprattutto di scarpini in buone condizioni, per poi farli utilizzare ai ragazzi. Ci aiutano le associazioni della zona. Negli ultimi tempi siamo riusciti anche ad allargare le nostre attività. Abbiamo creato un nucleo di ‘touch rugby’, un tipo di rugby senza contatto fisico, a cui partecipano anche ragazze rifugiate. Poi abbiamo sviluppato anche il settore dell’escursionismo. Grazie ad alcuni volontari che fanno le guide turistiche, una volta al mese organizziamo per i ragazzi delle gite alla scoperta di Roma e delle zone limitrofe”.

A parte alcuni rifugiati che militano nella squadra dal 2007, il resto dei giocatori tende a cambiare ogni anno. Molti ragazzi trovano lavoro e quindi non hanno più tempo da dedicare al calcio, altri lasciano Roma per recarsi altrove. Di solito la formazione varia infatti in base ai flussi migratori. Per il resto la Liberi Nantes Football Club si regge sul lavoro gratuito dei volontari, tra cui gli allenatori e i preparatori. In questi anni la squadra ha avuto modo anche di iscriversi al campionato di terza categoria ma fuori classifica. “Qualche anno fa ci siamo informati per l’iscrizione al campionato di calcio ufficiale – ha concluso la Conti – ma le regole imponevano un numero limitato di ragazzi extracomunitari e documenti specifici, tra cui il permesso di soggiorno. Quindi era impossibile riuscire a iscriverli. Dobbiamo ringraziare il presidente della Federcalcio che ci permette di giocare il campionato di terza categoria ma fuori classifica, ovvero come se le nostre partite fossero delle amichevoli. Questo ha permesso ai ragazzi di incontrare altre squadre, di conoscere meglio la nostra realtà e di integrarsi. È stato un modo per spiegare agli altri chi fossero. Purtroppo nell’immaginario collettivo c’è ancora molto pregiudizio”.

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