Premessa. Il lancio di una testa di maiale durante una manifestazione di attivisti animalisti è un gesto violento, vigliacco e imbecille.

Fatta questa dovuta precisazione, vi racconto cosa mi è capitato pochi giorni fa.

Sono al supermercato sotto casa. Mi avvicino al banco dei salumi e chiedo un po’ di prosciutto.

“Non dovresti mangiare carne, fa male”.

Mi giro. Capisco che una ragazza dall’aspetto molto simpatico si sta rivolgendo a me.

“La carne fa male. Da quando sono diventata vegetariana mi sento molto meglio”.

“Capisco. E’ che ho due bambini piccoli e un po’ di carne gliela devo dare”. Non ho molte obiezioni da fare. Una volta, Mario Tozzi, mi ha spiegato – scientificamente – il suo essere vegetariano e mi ha schiacciato, con la forza dei suoi argomenti, in un angolo in cui non potevo dissentire dal suo punto di vista. Forse è mancanza di carattere: ho continuato a mangiare carne (sempre meno), cercando di evitare – almeno – gli animali cresciuti in allevamenti intensivi.

Poi, la ragazza dall’aspetto simpatico, vedendomi alle corde, prova il colpo del k.o.

“E, tu che puoi, dovresti spiegare a più persone possibile quanto sia sbagliata la vivisezione”.

“In che senso, scusa?”.

 “Sperimentare i farmaci sugli animali: è una cosa inumana”.

“Guarda: se parliamo di esperimenti per provare prodotti di bellezza, sono d’accordissimo con te. Se parliamo di comprare una pelliccia (nel 2013!), sono più che d’accordissimo con te. Se parliamo di una nuova coscienza critica che ci insegna a leggere le etichette di un giaccone per sapere con certezza che il pelo che viene utilizzato non sia di origine animale, sono ultra d’accordissimo con te. Ma se parliamo di esperimenti su una cavia da laboratorio, che può salvare vite umane, beh, no, non sono d’accordo”.

“Allora è giusto uccidere degli animali?”.

“Sai se ci sono altri metodi per testare dei farmaci?”.

“Non lo so. Ma altri modi ci saranno”.

“Quali?”.

“Ti pare che con i progressi che ha fatto la medicina, un altro metodo non c’è?”.

Singolare punto di vista. Disprezzo la scienza per i suoi metodi ma poi ho una fiducia cieca nei risultati ottenuti. Come? Non mi interessa.

Ho chiamato una mia amica ricercatrice all’Università “La Sapienza” di Roma. Le ho chiesto se “esistono altri metodi” oltre la vivesizione per testare un farmaco. Qualcosa c’è: si tratta di “tessuti” o “colture cellulari”. C’è un piccolo problema: per ottenere questi tessuti si usa “siero fetale bovino”. Vale a dire che il siero bovino animale serve come fonte di nutrienti per crescere in vitro cellule o tessuti. Basta fare un salto su Wikipedia, per leggere sotto la voce ”etica” che non è una vera e propria alternativa alla vivisezione.

“Cominciano a produrre qualche tessuto completamente artificiale (e comunque anche in questo caso si usa il siero fetale bovino)” mi spiega la mia amica, “ma non sono adatti a qualunque tipo di coltura cellulare o tissutale… E’ vero che in alcuni casi l’uso di animali da laboratorio si è dimostrato inutile, perché la risposta fisiologica tra cavie di laboratorio ed esseri umani non sempre è paragonabile, ma non si può generalizzare in toto. Da qualche parte bisogna cominciare. Io preferisco cominciare da un topo piuttosto da un bambino che potrebbe essere mio fratello”.

Credo sia questo il punto.

Da un punto di vista puramente accademico e in linea teorica, ogni discorso è valido. Peccato che si scontri violentemente con la realtà.

E questa intransigenza cieca è davvero insopportabile. Persino Jonathan Franzen deve circoscrivere e spiegare il suo pensiero, solo perché ha detto che i gatti, cresciuti a dismisura per colpa dell’intervento dell’uomo, stanno mettendo a repentaglio alcune specie di uccelli.

Ecco che diventa subito “un nemico degli animali”.

Non è così.

Ma ormai cercare la ragionevolezza è sport fuori moda. Pagato dalle ditte farmaceutiche, assassino, torturatore di esseri indifesi, pazzo sadico, e via dicendo, se ci si permette di obiettare “meglio un topo che mio figlio”.

Consiglio timidamente una visita ad un reparto oncologico infantile di un ospedale a caso. Non si tratta di giustificare Green Hill o le torture immotivate su teneri animali a quattro zampe.

Si tratta di sperimentare su cavie da laboratorio (quasi sempre topi) farmaci che potrebbero salvare vite.

“Io preferisco cominciare da un topo piuttosto da un bambino che potrebbe essere mio fratello”, dice la mia amica.

Forse perché, davvero il suo fratellino l’ha perso per una malattia.

Adesso, se avete coraggio, datele torto.

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