Mahmoud Sarsak è, anzi era una giovane promessa della nazionale di calcio palestinese. Il 22 luglio 2009 è stato arrestato e poi detenuto senza processo per tre anni nelle carceri israeliane, da cui è uscito solo l’anno scorso dopo un lungo sciopero della fame che ha debilitato alcuni suoi organi vitali. Sarsak due settimane fa era a Londra e durante il 37mo congresso Uefa ha consegnato al presidente Platini una richiesta formale affinché a Israele non fosse concesso di ospitare l’Europeo Under 21. Un appello cui ha fatto seguito quello promosso dall’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, dal regista britannico Ken Loach e altri, concordi nel ritenere “sconvolgente che la Uefa dimostri totale insensibilità nei confronti della palese e radicata discriminazione inflitta ai palestinesi da parte di Israele”. In quell’occasione, Mahmoud Sarsak ha deciso di raccontare a ilfattoquotidiano.it la sua storia e le ragioni della sua protesta.

Ci puoi raccontare esattamente cosa è successo quel giorno d’estate di quattro anni fa?
Stavo andando da Gaza alla Cisgiordania per una trasferta, e mentre attraversavo un check-point sono stato arrestato. Inizialmente sono stato detenuto per 45 giorni, prima di ritrovarmi in prigione per tre lunghi anni, in cui sono stato privato dei miei diritti e in cui sono stato considerato non un essere umano ma un numero. Mi hanno rinchiuso in una cella di due metri per due, in cui non riuscivo a distinguere il giorno dalla notte. Mi hanno anche legato in diversi modi, a volte con il ‘metodo della banana’: le mani legate alle gambe e il mio corpo ricurvo, di modo che per diversi giorni non potessi dormire. Oppure hanno cercato di sfiancarmi mettendomi in un’altra cella, sempre di due metri per due, che sembrava un freezer, dove la temperatura arrivava a -15 gradi. Tutto questo per ottenere una confessione di colpe che non ho mai commesso. Ancora oggi non so di cosa sia stato accusato.

Su cosa si basava l’accusa?
Mi hanno accusato di tantissime cose, ogni volta cercando da me una confessione diversa: che fossi membro della jihad, di Hamas o di Al Fatah. Sono stato accusato poi di essere un ‘combattente illegale’: uno status giuridico assolutamente non applicabile nei miei confronti, ma che ha permesso loro di tenermi in carcere per quanto volevano grazie al regime di ‘detenzione amministrativa’ (legge contraria alle convenzioni internazionali, per cui Israele detiene una persona sulla base di un semplice sospetto e senza prove, in quanto se fossero rivelati indizi o prodotte prove, si metterebbero in pericolo le forze armate israeliane che conducono le indagini ndr.)

Quando hai deciso di cominciare lo sciopero per la fame?
Quando ho capito che sarei rimasto detenuto ingiustamente per un tempo infinito, senza che ai miei avvocati fosse formalizzato alcun capo d’accusa e senza alcun processo. E dopo aver visto il mio amico Zakreea Isaa (calciatore del Betlemme, ndr.) soccombere al cancro con i carcerieri che l’avevano abbandonato a se stesso, rifiutandosi di fornirgli assistenza medica. Tutto questo mentre le organizzazioni sportive internazionali stavano a guardare, anche loro senza fare nulla. Non volevo che questo potesse succedere anche a me, che non avessi più la possibilità di vedere la mia famiglia e i miei cari. E’ stato allora che ho deciso di cominciare lo sciopero della fame. E’ stata un’esperienza terribile, una sofferenza impossibile da spiegare con le parole. Eppure, quando sono in gioco la tua libertà e la tua vita ti senti in grado di superare qualsiasi dolore, perché sai che la vita senza libertà non vale la pena di essere vissuta. E’ stato atroce, ho visto la morte da vicino più volte. Ma è tutto quello che riesco a dirti, a un anno di distanza è ancora troppo difficile oggi per me parlare di questa cosa.

Adesso come ti senti?
Quando mi hanno rilasciato non sapevo se ridere o piangere. Da una parte ero contento di poter tornare dalla mia famiglia, che non vedevo da tre anni, e mi sentivo rinato. Dall’altra non potevo fare a meno di pensare a tutti gli amici ancora incarcerati e detenuti in condizioni disumane, privati di ogni diritto e deprivati pure del sole. Come Omar Abu Roweis e Mohammad Noofal, compagni della nazionale palestinese ancora in attesa di processo. Se personalmente cerco di essere felice per ogni giorno di libertà, e cerco di aiutare il mio popolo raccontando la mia storia, in realtà di salute non sto per niente bene. E poi ho paura, perché sento la pressione di Israele, mi sento seguito ogni passo che faccio e minacciato, ho veramente paura.

Hai detto che le organizzazioni sportive internazionali stavano a guardare. Come è possibile?
All’inizio sembravano non curarsi della mia situazione, o di quella dei miei compagni come Zakreea. Poi quando alcuni calciatori hanno pubblicato un appello per sostenermi (cui hanno aderito tra gli altri anche l’ex calciatore Eric Cantona il linguista Noam Chomsky, ndr) le acque hanno cominciato a muoversi, e anche la Uefa e la Fifa sono intervenute. Oggi posso dire che il mondo del calcio mi ha aiutato, e che anche io attraverso il calcio voglio fare qualcosa: regalare un sorriso sulla bocca di tutti quei bambini palestinesi che ancora soffrono le conseguenze delle continue occupazioni israeliane. E in futuro mi piacerebbe poi ricostruire lo stadio di Gaza che Israele ha distrutto durante l’ultima offensiva, così i bambini potranno tornare a giocarci.

Cosa pensi della decisione della Uefa di assegnare i Campionati Europei Under 21 a Israele?
Israele non merita di ospitare questi giochi (dello stesso avviso anche oltre 50 calciatori europei, tra cui Hazard e Kanoutè, che hanno lanciato un appello in tal senso lo scorso dicembre, ndr). Permettere loro di farlo è come approvare tutti i crimini che stanno commettendo: dall’invasione di Gaza ai bombardamenti sullo stadio dove sono morti diversi bambini che stavano giocando a calcio, fino alle torture e le uccisioni di numerosi giovani coinvolti nello sport o confronti di donne e bambini palestinesi in generale. E’ assolutamente sbagliato permettere a Israele di ospitare questi giochi.

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