“Signora vada a casa, faccia un piatto di pasta a suo marito e vedrà che fate pace”. Il consiglio è stato rivolto ad una donna che voleva denunciare il marito dopo anni di violenze e minacce. Aveva scoperto dei coltelli nei cassetti della camera da letto e si era allarmata.
Sappiamo che gli indicatori di pericolo, premonitori di una possibile uccisione della donna e dei figli sono principalmente quattro: episodi di violenza ravvicinati, aumento dell’intensità della violenza, minaccia di morte e/o di suicidio, il possesso o l’acquisto di armi da parte del maltrattante. Sono tutti elementi di rischio e non banali conseguenze di una lite familiare risolvibile con un buon piatto di pasta.
Una sorte tragica ha avuto Carmela Petrucci che è morta il 19 ottobre 2012, a soli diciassette anni, per difendere la sorella Lucia dalle coltellate inferte dall’ex fidanzato. Lucia subiva stalking e le era stato consigliato di “cambiare la sim del cellulare”. Ma cambiare la sim non è stato sufficiente.
Assistiamo da troppo tempo al ripetersi degli stessi errori, sviste, lacune (leggi il blog di Fabrizio Tonello). Vogliamo un lavoro in rete tra istituzioni e centri antiviolenza. Crediamo sia necessaria una formazione specifica delle forze dell’ordine, del personale socio-sanitario, del tribunale e delle procure. E ancora chiediamo l’adeguamento dell’Italia alle direttive europee che prevedono 5mila posti letto per le donne vittime di violenza invece dei soli 500 che ci sono attualmente nel nostro Paese. Se la task force promessa dalla ministra per le Pari opportunità Iosefa Idem porterà ad attivarsi per ottenere questi risultati ci saranno strumenti idonei per la prevenzione e un maggior sostegno alle vittime.
Suscita davvero molta perplessità chi vede come un danno agli uomini (e quale?) il fatto che si affronti il problema della violenza di genere. “La task force no, è inutile, prima vogliamo i numeri“, dicono gli scettici. Ma quali numeri precisi possiamo fornire in assenza di un osservatorio nazionale? La soluzione non può essere l’indifferenza o l’accettazione dello status quo. Possiamo lasciare che alle donne minacciate di morte si dica di cucinare un buon piatto di pasta? O permettiamo che, minacciate o percosse, debbano tornare a casa perché mancano i centri antiviolenza a cui rivolgersi e case rifugio dove trovare ospitalità? Possibile che ci sia ancora qualcuno che vuole archiviare il fenomeno, definendolo una percentuale statistica accettabile in un Paese di 60 milioni di abitanti, fornendo come prova del ragionamento che “il femminicidio non esiste perché l’assassino non voleva ammazzare una donna a caso, ma solo quella che lo ha lasciato. Quindi, secondo questa linea di pensiero, la donna non è ammazzata in quanto donna (come invece gli ebrei sotto il nazismo), ma “solo” in quanto soggetto che interrompe la relazione con il fidanzato, il marito o l’amico. Un fenomeno che così inquadrato non rappresenterebbe, per alcuni, alcuna emergenza.
Tuttavia, questo ragionamento ignora o dimentica molti fatti, in primis quello che le esperte e gli esperti del settore sanno, ovvero che un uomo che maltratta userà violenza nei confronti di tutte le donne con cui entra in relazione e quindi va fermato subito. Veniamo poi ai numeri: 84 donne nel 2005, 101 nel 2006 , 107 nel 2007, 113 nel 2008, 119 nel 2009, 127 nel 2010, 129 nel 2011, 124 nel 2012. Sono i dati raccolti dalla Casa delle Donne di Bologna che dal 2005 svolge un’indagine sui femmincidi raccogliendo notizie dalla cronaca giornalistica. Il dato dei femminicidi avvenuti nel 2006 coincide (con la differenza di una sola donna uccisa) con quello della ricerca condotta e citata da Tonelli per cui i femminicidi sarebbero 100. Sarebbe interessante scoprire la causa di quella discrepanza. Del resto i numeri che vengono pubblicati dalla stampa: non sono sbagliati, sono incompleti. Per questo da anni gli operatori del settore chiedono l’istituzione di un osservatorio nazionale sulla violenza di genere per poter registrare, studiare ed elaborare i dati raccolti in modo sistematico.
Il rapporto sulla criminalità, stilato nel 2010 dal ministero dell’Interno, rileva che le donne uccise nel biennio 1992-1994 sono passate dal 15,3% del totale, al 26% nel biennio 2006-2008. E mentre gli omicidi in Italia sono calati del 57%, i femmicidi sono aumentati del 98%.
Per concludere, in Italia si ammazza molto meno: gli omicidi per criminalità calano, ma i femminicidi no. Non è emergenza o epidemia, ma fenomeno endemico mai affrontato adeguatamente alla radice anche per motivi storici visto che il femminicidio era consentito per legge fino al 1981 sotto forma di “delitto d’onore”. Un fenomeno prima di tutto da estirpare sul piano culturale perché tutta la storia dell’umanità, da migliaia di anni, ci parla di legittimazione della violenza contro le donne come mezzo per ottenere o mantenere la loro subordinazione all’interno del sistema di valori ancora vigente del patriarcato.
Infine vorrei fare un invito agli scettici. Cercate di guardare le donne che subiscono violenza con gli occhi di chi le accoglie nel momento di massima vulnerabilità e mettetevi in ascolto in modo empatico nei confronti della loro sofferenza. Come se fossero le vostre madri, le vostre sorelle, le vostre più care amiche. Forse riuscireste a guardare oltre i numeri e le cifre, simboli freddi di vite reali. Esistenze di donne che rimangono segnate nel profondo, talvolta irrimediabilmente, anche quando sopravvivono alle botte o al tentativo di sfregiarle ed escono vive dagli ospedali.
di Nadia Somma