Ormai il fenomeno è tanto diffuso quanto percepibile: imbattersi in un’auto di pregio, grosse Bmw o Audi, spesso supercar come Porsche o Ferrari, con targa romena, polacca e ucraina è diventato discretamente comune nelle città italiane. Se, in un primo momento, qualcuno ha pensato a un improvviso e diffuso aumento del tenore di vita dei cittadini provenienti dall’Est Europa, presto ha dovuto ricredersi: nella maggior parte dei casi, si tratta dell’escamotage messo in atto da molti per aggirare l’infinità di tasse, di burocrazia, di multe e di problemi che oggi vanno in scia al semplice possesso di un’automobile, specie se di lusso. Il motivo del trucco è semplice: circolare, da cittadini italiani, con auto immatricolate in Paesi dove non si paga il superbollo e dove le tariffe assicurative sono meno della metà delle nostre conviene, anche perché si riesce a sfuggire dal redditometro e perfino dall’autovelox.

Due gli elementi che sembrano avere esasperato la situazione e generato tanti ‘italiani stranieri’ al volante: la supertassa che Monti ha calato sulla testa dei proprietari di motori con potenza superiore a 185 kW (20 euro di “bollo” in più per ogni kW in eccedenza) e i controlli a tappeto avviati dal governo l’estate scorsa nelle località di grido, da Cortina a Forte dei Marmi, con le telecamere dei telegiornali puntualmente convocate e con gli alt agli automobilisti seguiti dalle convocazioni per gli accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate.   

Chi non ha venduto la propria supercar all’estero (fuga che vede protagoniste migliaia di Porsche, Ferrari, Maserati, Lamborghini), ha scoperto la targa straniera. Un modus operandi sempre più diffuso, eppure non affrontato con rigore da un’Europa impotente in materia: non esiste, infatti, un regolamento unico in materia e ogni membro può stabilire leggi e cavilli propri. Al controsenso normativo non sfugge l’Italia, dove utilizzare un’auto con targa straniera non è poi così difficile, né del tutto vietato.

Come funziona? Il caso più diffuso è quello del prestanome: un amico, un parente residente all’estero o magari un dipendente (in Italia la comunità romena ha superato il milione di persone). Non sussiste un esplicito divieto a guidare l’auto, per esempio, di un proprio operaio, anche tutti i giorni. L’unica limitazione viene dall’articolo 132 del Codice della strada: “Gli autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi immatricolati in uno Stato estero e che abbiano già adempiuto alle formalità doganali … sono ammessi a circolare in Italia per la durata massima di un anno, in base al certificato di immatricolazione dello Stato di origine”. Peccato che, non essendoci più “formalità doganali” tra i paesi Ue, stabilire la data ufficiale d’ingresso in Italia è affare impossibile. Non solo. Emergono altri dubbi (o sotterfugi?): basterebbe uscire un giorno dai confini per poi rientrare e azzerare così l’anno di bonus? E il riferimento all’immatricolazione nello stato di origine metterebbe fuorilegge tutte le auto con targa straniera più vecchie di un anno beccate sul suolo italiano senza nessun documento doganale comprovante l’ingresso meno di un anno prima? Non ci sono risposte chiare. E il sottobosco che ne è derivato è sotto gli occhi di tutti.

Lo stesso buco legislativo hanno iniziato a sfruttarlo i lavoratori stranieri in Italia. Pur al volante di auto meno lussuose, non si sognano nemmeno di farle ritargare alla scadenza del dodicesimo mese. Altra strada battuta dai ‘furbetti dell’immatricolazione’ sono le opportunità di leasing offerte ai professionisti da società con sede in Germania. Nessuna norma, infatti, sembra vietare ad un professionista italiano di affittare un’auto in leasing presso una compagnia di un Paese comunitario. Più ardito il trucco di vendere al proponente del leasing la propria, costosa auto e, un’ora dopo, stipulare un regolare contratto di noleggio, scaricando così anche il costo dalla dichiarazione dei redditi.

Poi c’è anche un altro capitolo tutto da esplorare, ovvero quella della convenienza ‘geografica’ dell’immatricolazione all’estero. In tal senso, la scelta cade spesso e volentieri sulla Germania. Perché? Innanzitutto ci si confonde tra i milioni di tedeschi che vengono in Italia da turisti (spesso con costose auto made in Deutschland) e per gli agenti della Stradale è difficilissimo pescare l’italiano furbetto. Secondo: il rifiuto da parte della legislazione tedesca di recepire come prova di un eccesso di velocità la sola foto della targa dell’auto senza quella che ritrae in viso chi si trovava al volante in quel momento (che in Italia non si può scattare per la legge sulla privacy).

L’equazione è completa: targa straniera significa spesso e volentieri eludere i controlli (fiscali e ‘stradali’) e, di conseguenza, risparmiare. Tutto perfettamente (e incredibilmente) legale, con buona pace degli automobilisti eticamente onesti. In attesa di un’Europa davvero tutta uguale e di leggi comunitarie che non consentano tutto questo.

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