Mosca in soccorso delle economie europee in apnea? Dopo il “no, grazie” pronunciato dall’Eurotower ai rubli di Putin per chiudere la voragine delle banche di Nicosia, un altro fronte caldo potrebbe presto aprirsi sempre sulla direttrice Mosca-Bruxelles. Con la capitale russa pronta a spedire una vagonata di soldi in Serbia: non solo per coprire le esigenze economiche di Belgrado, ma anche per finanziarne lo sviluppo infrastrutturale. E’ attesa in questi giorni, durante la visita del primo ministro serbo Ivica Dacic a Mosca, la firma dell’accordo sulla concessione del prestito russo di 500 milioni di dollari per sostenere il bilancio della Serbia.

Lo ha annunciato nei giorni scorsi il ministro delle Risorse naturali, miniere e progettazione della Serbia, Basevits. Quest’ultimo, che è copresidente della commissione di cooperazione serborussa per i problemi economici e il commercio, ha incontrato a Mosca  il ministro russo dell’Energia Alexander Novak, come recita l’annuncio del governo serbo. Inoltre è stato previsto un altro accordo di approvazione russa per il prestito di 800 milioni di dollari, destinati alla modernizzazione delle Ferrovie della Serbia.

Ma come nasce questa collaborazione finanziaria con Mosca proprio quando l’Ue è indaffarata con l’adesione della Serbia al club europeo? Già da qualche mese premier serbo Ivica Dačić si era più volte proclamato non entusiasta all’idea di stringere rapporti con Bruxelles, preferendo la sponda orientale di Mosca come interlocutore privilegiato. Come ha ribadito in occasione della visita dell’inviato europeo Jelko Kacin, che ha commentato con parole che non lasciano spazio ad interpretazioni: “Sono allergico al fatto che ci sia sempre qualcuno che viene a Belgrado a tenere lezioni”.

Ma gli scogli “europei” in Serbia non sono solo di carattere politico o di rapporti personali, bensì sono stati individuati in due criticità specifiche: il Kosovo e la corruzione. Sul fronte “Pristina vs Belgrado”, Maja Kocijancic, portavoce dell’alto rappresentante per la politica estera Ue Catherine Ashton, sprizza ottimismo dopo le iniziali difficoltà. All’indomani della maratona di quasi dodici ore a Bruxelles con le delegazione guidata dal primo ministro serbo Ivica Dacic e da quello kosovaro Hashim Thaci, la Kocijancic si è lasciata andare: “E’ chiaro che c’è stato un dialogo intenso negli ultimi sei mesi – ha detto in una nota ufficiale – sono state discusse per lunghe ore una serie di problemi e gli elementi per le possibili soluzioni ci sono. Le due parti ora si consulteranno nelle loro capitali e poi comunicheranno le loro decisioni”. Ma la scadenza del 16 aprile (quando sarà ultimato il report dei progressi compiuti da Serbia e Kosovo) si avvicina, come anche il Consiglio esteri Ue del 23 aprile. Due passaggi determinanti per far sì che il Bundestag tedesco decida sull’apertura dei negoziati di adesione della Serbia.

Il secondo scoglio invece fa rima con lo scandalo dell’Agrobanka, che risale allo sorso agosto, ma i cui riverberi non cesseranno tanto rapidamente. In quell’occasione vennero arrestati diversi funzionari dell’istituto bancario serbo, a seguito di indagini approfondite che abbracciano l’intero sistema economico e politico del paese. Il buco di 300 milioni di euro di Agrobanka pare essere solo la punta dell’iceberg, dal momento che l’istituto sosteneva con iniezioni di liquidità alcune aziende praticamente fallite. E senza chiedere l’ombra di una garanzia che fosse una, ma potendo contare sull’input che qualche alto papavero forniva alla banca. A carico del premier inoltre vi sono precise accuse di contiguità con la criminalità, che ha sempre respinto. Nonostante egli stesso abbia ammesso pubblicamente di aver avuto più di una frequentazione con tale Rodoljub Radulović, soprannominato Miša Banana: stretto collaboratore di Darko Sarić a capo della più temibile organizzazione di narcotrafficanti serba. Con l’ombra di elezioni anticipate a Belgrado a togliere il sonno al premier.

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